Per lei sbloccati i colloqui, dopo 7 mesi senza poter comunicare
L’ambasciatore d’Italia in Ungheria, Manuel Jacoangeli, appoggerà la richiesta di far scontare a Ilaria Salis i domiciliari in Italia come chiesto dagli avvocati Mauro Straini ed Eugenio Losco. Dopo le immagini della 39enne in tribunale a Budapest, con mani e piedi legati e tenuta per una catena sorvegliata da agenti in assetto antisommossa, si muove la diplomazia. “C’è fiducia”, commentano i legali in serata di rientro all’aeroporto di Malpensa dopo aver presenziato alla prima udienza del processo in cui la donna rischia 16 anni di carcere con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di due neonazisti per gli scontri dell’11 febbraio 2023 in occasione del ‘Giorno dell’onore’. E chiedono che sia “applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari in Italia” come “consentito dalla legislazione europea per evitare discriminazioni tra cittadini” dei diversi Paesi.
Gli avvocati hanno strappato la possibilità per la loro assistita di avere due colloqui al mese con la famiglia, dopo 7 mesi senza poter comunicare. Avverranno “senza contatto diretto e attraverso un vetro divisorio” perché “Ilaria è sottoposta a un carcere duro, come il 41bis in Italia”, spiegano. Le accuse rivolte a mezzo stampa dal padre della 39enne, Roberto Salis (“Credo che l’Ambasciata italiana abbia partecipato ad almeno quattro udienze in cui mia figlia è stata portata in queste condizioni davanti al giudice. Noi fino al 12 ottobre, quando ha scritto una lettera, non avevamo evidenza del trattamento che stava subendo”) hanno portato a uno sblocco della situazione: l’ambasciatore Jacoangeli si è recato dal Ministro della Giustizia del governo magiaro. Contemporaneamente il segretario generale della Farnesina, ambasciatore Riccardo Guariglia, ha convocato su indicazione del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, l’incaricato d’Affari della Repubblica di Ungheria in Italia. Un “cambiamento” di sensibilità da parte delle istituzioni “c’è stato”, confermano gli avvocati Losco e Straini che auspicano che i “contatti” con i ministri Tajani e Nordio (Giustizia) “continuino”.
La ricostruzione della vicenda che riguarda Ilaria Salis
Martedì il Governo ungherese ha risposto solo a tre domande su una decina di quesiti posti dalla Corte d’appello di Milano nella vicenda di Gabriele Marchesi, il 23enne anarchico milanese arrestato a novembre in esecuzione di un mandato d’arresto europeo e di cui Budapest chiede la consegna per processarlo assieme a Ilaria Salis. I giudici si esprimeranno il 13 febbraio. I magistrati del collegio Fagnoni-Caramellino-Ravera della quinta sezione penale della Corte d’appello chiedono di conoscere le condizioni detentive nel Paese e avevano fissato al 30 gennaio il termine massimo per ottenere chiarimenti. Le tre risposte contenute nel documento riguardano l’esistenza dello ‘stato di diritto’ in Ungheria, i riferimenti agli articoli del codice penale che puniscono la tortura e la traduzione degli atti giudiziari in lingua straniera, dopo che Salis ha denunciato di non aver potuto leggere le carte che la riguardano né in italiano, né in inglese. Nulla ci sarebbe rispetto alla situazione denunciata dalla 39enne con lettere inviate a famiglia e legali e che riguardano la presenza di cimici e insetti in carceri sovraffollate, celle miste uomini-donne, cibo avariato e l’utilizzo di catene per contenere i detenuti.
La relazione è sulla scrivania anche del sostituto procuratore generale di Milano, Jacob Cuno Tarfusser, che si è opposto al mandato d’arresto europeo per Marchesi per le condizioni dei penitenziari ungheresi e la sproporzione fra i fatti contestati e le pene massime previste: i due antifascisti sono accusati di lesioni ‘potenzialmente letali’ – nel processo verrà sentito un medico legale il 24 maggio – nonostante le ferite delle vittime siano state ritenute guaribili in 5 e 8 giorni. La seconda aggravante è di aver agito ‘nell’ambito di un’associazione a delinquere’ tedesca. Si tratta della ‘Hammerband’ di Lipsia (‘banda del martello’), organizzazione anarco-rivoluzionaria al centro di indagini della polizia teutonica, guidata dalla 28enne Lina Engel e il compagno Johann Guntermann, che avrebbe scelto Budapest per “attaccare e assaltare militanti fascisti o di ideologia nazista” l’11 febbraio, nel giorno si ‘celebra’ la resistenza delle SS all’avanzata dell’Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale.
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