La corte ha negato una nuova perizia psichiatrica al geometra 60enne
La Corte d’assise d’appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo per Alessandro Giovanni Maja, il geometra, oggi 60enne, che nella notte fra il 3-4 maggio 2022 ha ucciso nel sonno con una mazza da carpentiere e un coltello la moglie, Stefania Pivetta, e la figlia 16enne, Giulia, nella villetta di famiglia a Samarate, in provincia di Varese, e ridotto in fin di vita il figlio Nicolò. L’unico superstite della strage, 23 anni, si è costituto parte civile nel processo, rappresentato dall’avvocato Stefano Bettinelli, ma non è comparso in aula perché ricoverato in ospedale per l’ennesimo intervento neuro-chirurgico causato dalle gravi lesioni permanenti di quella notte. “È sopravvissuto per puro caso” ha ricordato il suo legale, accompagnato dal padre e nonno delle vittime, Giulio Pivetta.
Il figlio unico superstite: “Ha cancellato la mia famiglia”
“Ho cancellato la mia famiglia a causa di un soffrire emotivo, restando solo – ha detto Maja rilasciando dichiarazioni spontanee qualche ora prima della lettura del dispositivo -. Mi aspetto la pena più alta sperando nella clemenza, confido nel perdono di Gesù, determinato dal mio pentimento”. “Ho avuto pietà a vederlo – ha detto il nonno dopo la lettura del dispositivo uscendo fra le lacrime -. le scuse non esistono. La legge c’è e l’hanno rispettata”.
Dopo un’ora e mezza di camera di consiglio la corte popolare, presiedute da Ivana Caputo, ha negato la nuova perizia psichiatrica al 60enne, come chiesto dal difensore Gino Colombo, dopo quella disposta in primo grado dalla Corte d’assise di Busto Arsizio che il 21 luglio 2023 aveva condannato il geometra per omicidio volontario aggravato dal legame di convivenza ed escluso l’aggravante della crudeltà. Secondo il professor Marco Lagazzi, perito psichiatrico del primo processo, Maja al “momento dell’intervento dei soccorritori”, da lui stesso avvertiti intorno alle 5 del mattino dopo un tentativo di suicidio, era “lucido e ben orientato nello spazio”.
Nel passato dell’uomo, originario di Milano, non vi sono “problemi di carattere psicologico o, men che meno, psichiatrico”. Il suo medico di base “ha dichiarato di non conoscerlo neppure”. Non ha mai “sviluppato dipendenza da sostanze o farmaci” né è stato “oggetto di attenzione o cura da parte dei servizi psichiatrici territoriali”. Una perizia “convincente”, che ha tenuto conto di “tutti gli elementi”, ha detto la Procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni, chiedendo di condannarlo al massimo della pena pur riconoscendo che il “primo istinto è quello di ritenere che solo una persona con gravi problemi di mente possa commettere un gesto simile, con modalità efferate che si fa fatica ad accettare”. Nella sentenza confermata Maja è stato definito “lucido”, “indotto a fare strage dei familiari” per la “paura di non riuscire più a garantire alla famiglia le precedenti condizioni di agiatezza”. Per i giudici il movente dell’efferato duplice omicidio e del tentato omicidio del figlio va ricercato nella “gravidanza avuta” dalla moglie “in occasione di una relazione extraconiugale”, i rapporti “con il figlio Nicolò” e le sue “difficoltà scolastiche”, “le dinamiche della vita familiare”, oltre alle “sopravvenute difficoltà lavorative ed economiche”. L’uomo non avrebbe mai mostrato alcuna forma di “pentimento”, nonostante la confessione, in particolare verso Stefania Pivetta, e ha commesso dei “raccapriccianti delitti all’interno delle pareti domestiche, in piena notte” quando “le vittime dormivano serenamente nei loro letti”, pensando di essere “protette”. Omicidi commessi da chi avrebbe dovuto garantire “protezione e sostegno”. La Corte d’appello di Milano non ha fissato il termine per il deposito delle motivazioni della sentenza che quindi potrebbero arrivare a breve entro 15 giorni.
© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata