Per Si Cobas e Usb i pm chiederanno il processo

Per la Procura di Piacenza nei sindacati Si Cobas e Usb sono attive due associazioni a delinquere che hanno “coagulato un bacino” di lavoratori “di origine straniera” da “strumentalizzare” con l’obiettivo di “conquistare i magazzini” delle multinazionali della logistica. Così guadagnerebbero “gli introiti derivanti da tessere e conciliazioni” e sarebbero in grado di garantire “assunzioni su base clientelare, stabilizzazioni, ma anche ricche buonuscite” ai facchini di multinazionali come TNT-FedEx o Leroy Merlin.

Il pm Matteo Centini e la Procuratrice Grazia Pradella hanno notificato agli 8 sindacalisti di Si Cobas e Usb arrestati il 19 luglio 2022 l’avviso di conclusione indagini preliminari che prelude alla richiesta del processo. Nella maxi-inchiesta della squadra mobile di Piacenza, durata quasi 6 anni dal dicembre 2018, sono indagati il leader nazionale dei Cobas Aldo Milani e i membri del coordinamento Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli. Per l’Usb, Roberto Montanari, Mohamed Abed Issa e Fisal Elderdah. Per una svista l’atto è stato notificato anche a Riad Zaghdane, storico militante tunisino dell’Usb, morto al San Camillo di Roma l’8 dicembre 2023 all’età di 56 anni dopo aver combattuto contro un cancro.

I sindacalisti sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio, sabotaggio ed estorsione. Secondo gli inquirenti le sigle di base avrebbero “svolto numerose vertenze” per “migliorare le condizioni di lavoro dei facchini, fino a diventare maggioritari” in diversi hub logistici del distretto piacentino negli ultimi 15 anni più volte definito il ‘magazzino d’Italia’ e base di decine di multinazionali, da Amazon a GLS. Dal 2014-15 i sindacati avrebbero iniziato un “continuo conflitto” creato “ad arte” fra loro “all’interno dei magazzini” prendendo “a pretesto ogni banale problematica risolvibile tramite normali relazioni industriali”. Hanno provocato “scontri con la parte datoriale” per alimentare “il proprio potere”, uscire “vittoriosi” e ottenere “l’affiliazione all’associazione di più lavoratori, assicurandosi i proventi di tessere e conciliazioni”. Le aziende “piegate dall’illegale blocco dei mezzi e delle merci” avrebbero ceduto a “continue concessioni”. Tra i mezzi usati il “picchettaggio illegale” impedendo ai camion di merci “di entrare ed uscire”, “occupando la sede stradale” oppure praticando azioni “di sabotaggio” delle aziende ad esempio “azionando l’interruttore di emergenza per interrompere l’azione dei macchinari per la movimentazione dei pacchi”. I lavoratori sarebbero stati istigati “a forme di lotta illecite, compreso il rallentamento pretestuoso e strumentale dell’attività o l’uso dell’astensione per malattia anche in assenza di problematiche sanitarie”.

Sui 145 capi d’imputazione originari – scioperi o picchetti – 62 saranno stralciati dalla Procura in fascicoli autonomi. La novità delle indagini, basate su intercettazioni telefoniche e testimonianze di manager aziendali, sta nella contestazione di estorsione che non era mai stata formulata. Il pm Centini l’ha ipotizzata a gennaio 2018 chiedendo di disporre intercettazioni ambientali negli uffici dei Cobas. Richiesta negata dal gip di Piacenza Adele Savastano ritenendo che le accuse non descrivessero un “accordo criminoso” né ci fossero prove di “benefici, non meglio evidenziati”. La vicenda ha fatto discutere nel mondo politico e giudiziario con articoli critici pubblicati dalla rivista di Magistratura Democratica ‘Questione Giustizia’. Ad agosto 2022, tre settimane dopo gli arresti, il Tribunale del riesame di Bologna ha liberato tutti i sindacalisti finiti ai domiciliari sostenendo che i “fini delle ipotizzate associazioni siano leciti” e tutelati dallo “Statuto dei Lavoratori”. Per i giudici della libertà alcune delle testimonianze – quelle degli imprenditori – non appaiono “immuni da interessi”. Altre accuse si baserebbero su prove “praticamente inesistenti”, come ad esempio quelle di arricchimento personale dei rappresentanti dei lavoratori. “Le pur approfonditissime indagini patrimoniali non avrebbero sortito alcun risultato”. Contro quell’ordinanza la Procura di Piacenza ha depositato ricorso 4 volte alla Corte di Cassazione. Tutti rigettati perché ritenuti inammissibili.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata