Le motivazioni della sentenza d'appello per il caso del 2020: "Dichiarazioni contradditorie del fratello"

Alex Cotoia (Pompa all’epoca dei fatti) ha inferto al padre Giuseppe che “veniva accoltellato alle spalle e che era in minoranza numerica rispetto ai figli” 34 coltellate, usando 6 coltelli diversi, fatto che rende “del tutto evidente che l’offesa arrecata” al padre “non possa dirsi in alcun modo inferiore, uguale o tollerabilmente superiore al male subito o minacciato”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Torino nelle motivazioni della sentenza di condanna per Alex, che nel 2020 uccise a coltellate il padre violento a Collegno, nel Torinese, e che ha sempre sostenuto di averlo fatto per difendere la madre, se stesso e il fratello. Alex fu assolto in primo grado per legittima difesa e il suo caso è finito anche alla Consulta. E’ stato invece condannato in appello a 6 anni 2 mesi e 20 giorni.

“Tenuto conto della sede dei colpi […] della reiterazione degli stessi […] e del numero di armi impiegate […]”, scrivono i giudici, i fatti “depongono univocamente nel senso di una condotta francamente aggressiva“. Almeno 15 delle coltellate inferte sono state date alla schiena, scrivono i giudici.

Le dichiarazioni del fratello e della madre

Le dichiarazioni rese durante il processo da Loris Cotoia, fratello di Alex Cotoia, hanno “numerose e rilevantissimi contraddizioni” rispetto a quanto dichiarato da lui stesso “nell’immediatezza dei fatti” sostengono i giudici. Le dichiarazioni del fratello, che con la madre era presente in casa al momento del delitto, sarebbero state “lacunose e frammentarie” nella sua deposizione mentre nell’immediatezza del fatto il fratello aveva fornito un “fluido e lineare racconto”, secondo i giudici. I giudici, oltre a condannare Alex, hanno infatti disposto la trasmissione degli atti alla procura di Torino per valutare le deposizioni di Loris Cotoia e della madre Maria Cotoia (i figli hanno assunto il suo cognome dopo il delitto).

I giudici si soffermano anche sul messaggio inviato allo zio Michele Pompa alle 22.26, dicendo che “francamente sembra davvero poco coerente con la situazione descritta, con il terrore vissuto, visto l’enorme pericolo che il padre rappresentava” il fatto che allo zio sia stato mandato un messaggio e non sia stata fatta una chiamata a lui o ai carabinieri. I giudici sostengono che sia Loris che la madre avrebbero fatto “enfatizzazioni” “dell’atteggiamento violento” del padre “prima e durante quella sera” anche “attraverso l’aggiunta di particolari sino a quel momento inediti”.

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