La madre della 22enne morta nella sua azienda tessile a Montemurlo (Prato): "È un dolore che si rinnova, ed è assurdo"

La tragedia della centrale elettrica di Suviana rinnova il dolore di Emma Marrazzo, madre di Luana D’Orazio, 22enne morta nel 2021 risucchiata da un macchinario dell’azienda tessile in cui lavorava a Montemurlo, in provincia di Prato. “È un dolore che purtroppo si rinnova, ed è assurdo”, dice Marrazzo a LaPresse. Mamma di un bimbo di 5 anni, Luana raccontava sui social la sua vita felice, con le foto che la ritraevano sempre sorridente con suo figlio e con gli amici. “Le istituzioni purtroppo non ci sono – ha detto Emma Marrazzo -. È una guerra che non gli interessa. Purtroppo è così. Non ci sono e vedo che non fanno niente. Anche perché vediamo com’è andata a mia figlia. Una semplice multa per il fatto che nulla era in regola, intanto lei c’è morta. Dove vogliamo andare?”. Per la sua morte sono stati condannati, dopo patteggiamento, i due coniugi titolari dell’azienda per la quale Luana lavorava: 2 anni alla moglie, 1 anno e 6 mesi al marito. Entrambe le pene sono state sospese con la condizionale.

“Riconoscere reato di omicidio sul lavoro”

“Io lotto perché sia riconosciuto il reato di omicidio, con l’aggravante – spiega Marrazzo -. Quella attuale è una legge di comodo. Deve cambiare. Non si può andare a lavoro e non tornare più a casa. La fatalità è un conto, anche se il dolore non cambia, ma così non va bene, perché dà il via libera a lavorare così. È come se lo Stato gli desse il permesso di fare quello che vogliono“. La perizia del consulente della Procura confermò che nel momento in cui Luana lavorava, l’orditoio aveva le barriere di sicurezza antinfortunistica disattivate: una manomissione che non avrebbe avuto un fine economico, con l’aumento della produttività, ma volta semplicemente ad alleggerire le operazioni degli operai. Se fossero state in funzione le barriere, la giovane avrebbe potuto salvarsi. Quindi Emma Marrazzo si rivolge alle famiglie dei morti sul lavoro: “Lo so che è dura, ma se stiamo zitti non si risolve niente. Il mio appello è a tutti i familiari, a ribellarci per cambiare questa legge che non va bene. Ci dobbiamo ribellare”.

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