In aula altri testimoni della procura, tra cui un uomo che avrebbe subito una truffa dalle persone accusate del furto dei documenti del ricercatore

Nuova udienza in Corte d’Assise a Roma nei confronti dei quattro 007 egiziani accusati del rapimento e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo nel 2016 e trovato poi morto con segni di tortura. Nell’aula Occorsio del tribunale di piazzale Clodio è stato mostrato un documentario trasmesso da una tv egiziana sulle torture nel paese nordafricano, con interviste a vittime e testimoni. Poi è stato il turno di un altro testimone della procura, Davide Castratori, che nel febbraio 2016 denunciò alla polizia del Cairo una truffa subita da alcuni sedicenti poliziotti e che poi riconobbe in televisione le persone che avevano provato a truffarlo come le persone inizialmente accusate del furto dei documenti di Regeni.

“Era il 15 febbraio, stavo andando a lavoro in una società petrolifera. Ho parcheggiato davanti all’ufficio e chiuso la porta della macchina. A quel punto si è posto davanti a me un furgoncino bianco ed è stata aperta la porta. All’interno c’erano 4 o 5 persone in borghese e mi hanno fatto vedere almeno 3 tesserini che sembravano quelli della polizia. Mi hanno fatto capire che dovevano farmi delle domande, perché in zona era stato ucciso un agente di polizia e mi hanno chiesto di salire sul mezzo. A quel punto mi hanno tenuto 1 ora e mezza per interrogarmi: il loro assunto era che io potessi essere un finanziatore straniero dei fratelli musulmani e non l’esecutore materiale”, ha raccontato l’uomo ai giudici. “Almeno uno o due dei truffatori li ho riconosciuti quando ho visto in televisione le immagini delle persone inizialmente accusate” del furto dei documenti, ha aggiunto.

“Da come si sono poste queste persone, dai tesserini che hanno mostrato, non c’era possibilità di non salire in auto. È stata una truffa ai miei danni“: poco dopo infatti “siamo arrivati a parlare dei miei soldi, di quanti ne avessi a casa. Di dove abitassi. Ho chiamato anche mia moglie per accertare quanti soldi avessimo a casa. Ma non ha potuto fare altro che assecondare le richieste ritirando 10 mila dollari e ho consegnato questi soldi a loro che erano parcheggiati poco davanti alla banca, ma lontano dalle telecamere“. Rispondendo poi alla domanda dell’avvocata della famiglia, Alessandra Bellerini, ha spiegato: “Alla fine credevo di ritrovare i soldi nella borsa, ma invece c’erano solo dei pezzetti di carta“. 

Mostrati in aula gli appunti del diario di Giulio

“Può avvenire anche 10 volte al giorno” che “i venditori ambulanti” scappino “dalla polizia. Sono sotto shock”. Lo scrisse, pochi giorni prima del sequestro e del suo omicidio, su un diario, Giulio Regeni il ricercatore friulano ucciso in Egitto. Nell’udienza di oggi, davanti alla prima Corte d’Assise dove è in corso il processo per l’omicidio. Gli appunti erano scritti in inglese ma poi vennero tradotti in italiano. Gli scritti sono stati letti in aula, dal colonnello dei carabinieri del Ros Onofrio Panebianco.

Il report, secondo il teste, è relativo all’incontro che Giulio ebbe con gli ambulanti. Scriveva ancora Giulio: “Ho incontrato un venditore ambulante che è stato gentile e mi ha offerto del the. Vorrebbero dare un contributo alla società egiziana e vorrebbero essere riconosciuti e pagare le tasse. Tra loro non si fanno concorrenza”. Aggiungeva poi: “se uno si deve allontanare gli altri tengono d’occhio la merce. Sono molto in allerta per paura che la polizia possa sequestrare la merce. Quando un venditore all’inizio della strada ha avvisato dell’arrivo della polizia, sono fuggiti e si sono nascosti dietro una Moschea”.

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