Ex generale dei Carabinieri, 85 anni, già assolto per la trattativa Stato-mafia, è sotto inchiesta per gli attentati di Firenze, Milano e Roma

Strage, associazione mafiosa, associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico. Sono le accuse contestate dalla Procura di Firenze a Mario Mori, ex generale del Ros dei Carabinieri e già direttore del Sisde. La sua carriera è legata a doppio filo al periodo degli anni di piombo e delle stragi di Cosa Nostra. Nato a Postumia Grotte 85 anni fa, Mori entra nell’Arma dei carabinieri nel 1959 dopo aver completato gli studi e la formazione militare presso l’Accademia di Modena. Dal 1972 al 1975 svolge servizio presso il Sid (Servizio Informazioni Difesa) a Roma, venendo trasferito successivamente, con il grado di capitano, al Nucleo Radiomobile dei Carabinieri di Napoli, dove rimane per altri tre anni. Mori viene poi nominato comandante della Sezione anticrimine del Reparto Operativo della Capitale, e sotto il suo comando vengono catturati numerosi terroristi che avevano insanguinato il Paese nel corso degli anni di piombo.

L’ascesa nell’Arma e la fondazione del Ros

Il suo arrivo a Palermo è del 1986, quando il capoluogo siciliano è ancora insanguinato dalla spietata guerra di mafia innescata dai corleonesi di Totò Riina. Nei 4 anni al comando del Gruppo Carabinieri Palermo 1, Mori impara a conoscere le dinamiche organizzative ed esecutive di Cosa Nostra, e alla fine del 1990, insieme al collega Antonio Subranni, è tra i fondatori del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale), la struttura destinata ad assumere la competenza a livello nazionale delle indagini nel settore della criminalità organizzata e terroristica. Sarà una sua informativa, curata dall’allora capitano Giuseppe De Donno, a rappresentare l’ossatura dell’inchiesta “mafia e appalti” sostenuta da Giovanni Falcone e, dopo la sua morte, da Paolo Borsellino.

La cattura di Riina e la mancata perquisizione del covo

Divenuto vicecomandante del Ros nell’agosto 1992, con il grado di colonnello, cinque mesi dopo collabora con Sergio De Caprio, meglio noto come “capitano Ultimo“,  all’arresto di Salvatore Riina. Nel 1998, promosso generale di brigata, diviene comandante del Ros. La prima indagine giudiziaria che riguarda Mario Mori scatta proprio dopo l’arresto del capo di Cosa nostra, quando l’ufficiale viene accusato  insieme a Sergio De Caprio di favoreggiamento nei confronti della mafia per la mancata perquisizione del covo di Riina, con i magistrati che contestano ai due ufficiali la mancata comunicazione alla Procura della sospensione dell’osservazione della villa di via Bernini. Il processo si conclude con l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”.

La trattativa Stato-mafia e l’assoluzione

Nel 2008 i sostituti procuratori Antonio Ingroia e Nino Di Matteo accusano Mori e il colonnello Mauro Obinu di aver assecondato nel 1995 la latitanza del boss corleonese Bernardo Provenzano, nuovo capo di Cosa Nostra dopo l’arresto di Riina. Secondo i magistrati, Mori intendeva garantire un patto siglato tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra, accusa per la quale il generale è stato assolto in via definitiva.  Mori viene nuovamente rinviato a giudizio il 7 marzo 2013 nell’ambito dell’indagine sulla presunta trattativa Stato-mafia. Insieme a lui vengono imputati i politici Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri, gli ufficiali Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i boss Giovanni Brusca, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà e Bernardo Provenzano, il collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino (indagato anche per calunnia) e l’ex ministro Nicola Mancino (solo per falsa testimonianza, poi assolto dalla Corte il 20 aprile 2018). La tesi della Procura è quella che vede pezzi dello Stato essersi seduti al tavolo con Cosa nostra – con tanto di “papello” di richieste firmate da Totò Riina per neutralizzare gli effetti ottenuti dalle sentenze del Maxiprocesso (revoca carcere duro e no al sequestro dei beni per i mafiosi) – per porre fine alla strategia stragista attuata da Cosa Nostra tra il  1992 e il 1994. Ne nasce un altro lunghissimo iter processuale che si conclude 10 anni dopo, il 27 aprile 2023, quando la suprema Corte di Cassazione lo assolve definitivamente.

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