Da Catania a Vercelli, un fiume di assoluzioni per i cosiddetti ‘furbetti’ del reddito di cittadinanza. Va prosciolta, per il tribunale di Napoli, la donna srilankese che ha dichiarato “falsamente” di essere residente in Italia da 10 anni, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo, per ottenere 8.500 euro di reddito di cittadinanza dall’Inps: lo ha fatto senza “coscienza e volontà” ed è “verosimile” che possa aver avuto “difficoltà nella compilazione della domanda” o che abbia fatto riferimento alla “propria presenza effettiva in Italia” invece della “residenza anagrafica”. Per il gup di Vercelli Claudio Passerini, invece, il 27enne di Benin City (Nigeria) che, facendosi aiutare da “amici” e dal “Caf”, ha chiesto e ottenuto (indebitamente secondo l’accusa) la misura di sostegno al reddito è innocente: tra i tanti motivi dell’assoluzione quello di aver chiesto la “revoca” del rdc non appena “trovato un lavoro”. “Particolare tenuità del fatto” è la formula giuridica che lo manda assolto.
“Quando fanno leggi senza un senso questo è il risultato”, commenta l’avvocata catanese Rosa Lo Faro che l’8 maggio 2024 ha visto emettere sentenza di non luogo a procedere per un suo assistito che dal 2020 è nel mirino di guardia di finanza e Inps sempre per aver “dichiarato falsamente di risiedere in Italia da almeno 10 anni“. “L’imputato è incensurato e, dal punto di vista patrimoniale, presentava tutti i requisiti per ottenere il beneficio richiesto”, taglia corto il giudice per l’udienza preliminare di Catania, Daniela Monaco Crea. Per lei è un “episodio occasionale” e una “condotta” caratterizzata da “esiguità del danno” o del “pericolo”. La legge “senza senso” a cui fa riferimento la legale sarebbe quella prevista dall’articolo 7 dal decreto che avrebbe dovuto “abolire la povertà”: il numero 4 del 2019. La disposizione punisce da 2 a 6 anni di reclusione chi “rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere” o “omette informazioni dovute” per ottenere i soldi dall’Inps. “Non ho ancora visto una condanna“, afferma l’avvocato Alberto Guariso, co-fondatore dello Studio Diritti e Lavoro di Milano e responsabile, assieme alla collega Paola Fierro, del servizio antidiscriminazione dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi), che ha raccolto decine di provvedimenti dei giudici. “A noi si sono rivolte un centinaio di famiglie – spiega Fierro – ma i procedimenti penali saranno migliaia“.
Sugli oltre 50mila ‘furbetti del reddito di cittadinanza’ denunciati dalla Guardia di finanza fra 2019 e 2023, le Procure d’Italia hanno chiesto o ottenuto il processo anche per chi “appena ha saputo di non avere il requisito” si “è recato al Caf per annullare la sua richiesta”. Lo ha detto il gup di Cuneo, Alberto Boetti, che ha assolto un 33enne nigeriano arrivato in Italia nel 2016 come richiedente asilo. Quando l’uomo si è reso conto che nella domanda per il reddito c’era un errore relativo al criterio di residenza superiore ai 10 anni, di cui gli ultimi 2 anni continuativi in Italia (requisito che pende ancora davanti alla Corte Costituzionale), è stato lui stesso a chiedere la revoca della domanda. Non è stato possibile e quindi ha “seguito il suggerimento di non ripresentare l’Isee per l’anno 2021 ed ha restituito all’Inps le somme versategli”. Ma è stato comunque processato con rito abbreviato fra 2022 e 2023 per le false dichiarazioni rese per “ottenere indebitamente” il rdc, e dalla sentenza emerge come abbia fornito correttamente i documenti al Caf tra cui il “permesso di soggiorno” e tutti i suoi “dati” che sono “riportati nel frontespizio della domanda”. “Risulta chiaramente – si legge nelle motivazioni dell’assoluzione con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato‘ – che la data del suo ingresso in Italia era avvenuta meno di 10 anni prima”. “Viene pertanto da dubitare – conclude il giudice – del suo intento di ingannare lo Stato italiano, avendo prodotto un documento da cui emergeva subito una data d’ingresso inferiore al decennio”.
È uno delle decine di casi andati a giudizio fra il 2022 e il 2024, raccolti da LaPresse da diversi avvocati di cittadini stranieri o extracomunitari e dai legali dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Complessivamente, secondo l’ultima audizione parlamentare del Comandante generale delle fiamme gialle, Andrea De Gennaro, sono state 53.751 le persone denunciate penalmente dalla Gdf alle Procure della Repubblica e segnalate all’Istituto nazionale di previdenza sociale per indebita richiesta o percezione. Alla commissione Finanze del Senato, Di Gennaro ha parlato il 5 marzo 2024 di contributi illeciti per “oltre 581 milioni di euro” tra il 2019 e il 2023.
Il 31 dicembre dello scorso anno è la data ultima per perseguire la “responsabilità penale” di chi ha percepito l’assegno, ma la cronaca passata e recente racconta di operazioni ancora in corso: nella provincia di Foggia 63 persone denunciate e segnalate all’Inps il 4 maggio per 691mila euro di percezioni indebite legate alla “residenza effettiva” oltre a “composizione del nucleo familiare”, lavoro nero e altre violazioni. Un’intera famiglia nel Gargano. A Taranto 20 denunce il 30 aprile per 254mila euro. Nel varesotto inchiesta su oltre 5 milioni di euro di sussidi erogati o ancora da versare per 646 persone denunciate da spartirsi fra le Procure di Varese e Busto Arsizio.
Il dolo di chi si è visto togliere il reddito prima dello scadere dei 18 mesi previsti e chiedere indietro le somme già ottenute, tuttavia, nelle aule di giustizia fatica a essere dimostrato quando riguarda le dichiarazioni di residenza. Ad esempio quella di un 39enne nigeriano, arrivato 8 anni fa in una cittadina industriale del profondo Veneto. Aveva chiesto e ottenuto in totale 4.211,35 euro di rdc. A processo ha spiegato di aver fatto la domanda telefonicamente a un operatore del Caf, che gli ha chiesto l’Isee e lo Spid ma non ha fornito alcuna “indicazione circa il requisito della residenza”. Il “ragionevole dubbio” è stato sufficiente per la giudice Maria Rosa Barbieri per mandarlo assolto. Dubbio che si somma alle “difficoltà linguistiche” nella comprensione dei “requisiti”, “sempre ammesso che qualcuno glieli abbia spiegati”, chiosa il tribunale. Anche perché la Procura di Venezia le indagini sulla “raccolta della dichiarazione” poi risultata falsa non le ha proprio fatte. A Verbania sono stati gli stessi pubblici ministeri a chiedere di emettere sentenza di non doversi procedere nei confronti di una donna accusata dello stesso reato, in udienza preliminare. Per la gup Annalisa Palomba “il fatto non costituisce reato” perché “l’imputata non aveva compreso la portata della dichiarazione” e “autonomamente” ha chiesto la rinuncia al reddito nell’ottobre 2021. Con commento finale dedicato ai tempi e la mole di lavoro di lavoro nella giustizia: anche se la donna fosse stata mandata a processo “non vi sono ragionevoli probabilità di condanna“. Prima della riforma Cartabia erano sufficienti gli elementi “idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, ora non più.