Il verdetto della Corte d'Assise d'Appello. L'accusa aveva chiesto 24 anni di carcere per il sottoufficiale e 22 per i familiari

Assolti per non aver commesso il fatto. Dopo 23 anni, l’assassino di Serena Mollicone non ha ancora un nome. I giudici della corte d’Assise d’Appello di Roma, tra le urla e gli insulti degli amici e dei parenti presenti in aula, hanno letto il dispositivo con cui i componenti della famiglia Mottola, accusati a vario titolo del delitto, sono stati assolti per la seconda volta. Assolti anche i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Un’altra assoluzione dunque, quella incassata dall’allora comandante della stazione dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, dalla moglie Annamaria e dal figlio Marco. La procura generale aveva sollecitato 24 anni di carcere per l’ex maresciallo, 22 per Marco come pure per Annamaria. Secondo l’accusa, il cadavere della studentessa, ritrovato nel bosco di Fontecupa, nel comune di Fontana Liri, venne abbandonato ancora agonizzante in quella località dopo che era stata tramortita nella caserma di Arce, con un colpo sferrato sbattendole la testa sulla porta, perno centrale dell’inchiesta, poi scaturita nel processo. Un dibattimento durante il quale sono state presentate dalla procura generale una serie di indizi scientifici che però non hanno trovato pieno riscontro nella realtà dei fatti. Versioni che alle volte sono risultate contrastanti e stridenti tra loro. Poco attendibili sono state considerate le deposizioni dei testimoni che all’epoca dei fatti entrarono come persone informate nella vicenda e che conoscevano Serena. Nell’aula, alla lettura della sentenza era presente anche Carmine Belli, il carrozziere di Arce che venne accusato dell’omicidio e che poi fu assolto nei tre gradi di giudizio. Era presente, tra gli amici della giovane vittima, che indossavano una t-shirt con la scritta ‘Serena vive’, il noto artista del fumetto Zerocalcare intervenuto per portare solidarietà. Una pista ‘cieca’ secondo il pool dei difensori dei Mottola e dei due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano.

Franco Mottola: “Giustizia è stata fatta”

“Giustizia è stata fatta”, è stata la frase pronunciata in lacrime da Mottola, mentre il figlio Marco non riesce a trattenere le lacrime. Nel dispositivo provvisorio di sentenza, le parti che hanno proposto il ricorso in Appello sono state condannate al pagamento delle spese. Come ha spiegato a margine della lettura del dispositivo, il criminologo e porta oce dei difensori dei Mottola, Carmelo Lavorino, “c’è stato un innamoramento della tesi ed un inganno strutturale che hanno portato le indagini fuori strada. Oggi come allora è stato perso tempo prezioso che ha fatto sì che il vero assassino la facesse franca finora. Serena non ha ancora avuto giustizia”, ha concluso Lavorino. “Speravo che almeno questa volta venisse fatta giustizia, anche a mio padre. Gli elementi questa volta, portati in aula dall’accusa erano stati di più”, le parole diMaria Tuzi, la figlia del brigadiere dei carabinieri morto suicida nel 2008: con le sue dichiarazioni vennero riaperte le indagini. 

Famiglia Mollicone condannata al pagamento delle spese

I giudici della corte d’Appello di Roma, hanno condannato al pagamento delle spese processuali tutte le parti che, dopo la sentenza di assoluzione di primo grado, hanno proposto il ricorso in Appello: tra loro i familiari di Serena Mollicone. Condannati a pagare le spese anche i parenti del brigadiere Tuzi, morto suicida nel 2008, il comune di Arce e il ministero della Difesa. 

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