Introdurre nei documenti la dicitura 'non binario' avrebbe, secondo la Corte, "un impatto generale, che postula un intervento legislativo di sistema"

Non si può introdurre la dicitura ‘non binario’ nei documenti dello stato civile senza un’apposita legge che lo stabilisca. Lo ha detto la Corte Costituzionale, dichiarando inammissibili le questioni di incostituzionalità sollevate dal Tribunale di Bolzano nei confronti dell’art. 1 della legge n. 164 del 1982, che chiedevano che la procedura di rettificazione del sesso sull’atto di nascita potesse determinare l’attribuzione di un terzo genere non binario (né maschile, né femminile). Secondo la Consulta, infatti, “l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria”.

“Legislatore primo interprete della sensibilità sociale”

La sentenza numero 143/2024, depositata martedì, sottolinea che la caratterizzazione binaria (uomo-donna) investe il diritto di famiglia, del lavoro e dello sport, la disciplina dello stato civile e del prenome, la conformazione dei “luoghi di contatto” (carceri, ospedali e simili). La Corte rileva tuttavia che “la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità ‘altra’ – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità” e che, “nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute“. La Corte quindi conclude: “Tali considerazioni, unitamente alle indicazioni del diritto comparato e dell’Unione europea, pongono la condizione non binaria all’attenzione del legislatore, primo interprete della sensibilità sociale“. Non può essere, quindi, una sentenza della Corte Costituzionale a introdurre un’eventuale novità nell’ordinamento, ma è necessario un intervento delle Camere

 

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