Accolto il ricorso della Procura meneghina nell'inchiesta Hydra sul cosiddetto sistema mafioso lombardo

Il tribunale del Riesame di Milano ha accolto il ricorso della Procura meneghina nell’inchiesta Hydra sul cosiddetto ‘sistema mafioso lombardo’, una sorta di “consorzio” fra cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra in Lombardia che è stato definito anche come ‘supermafia’. I giudici della libertà hanno ritenuto “ampiamente dimostrato”, si legge in una nota del tribunale di Milano, che il “sodalizio contestato abbia fatto effettivo, concreto, attuale e percepibile uso – anche con metodi violenti o minacciosi – della forza di intimidazione nella commissione di delitti come nella acquisizione del controllo e gestione di attività economiche” con comportamenti che mostrano la “natura mafiosa del gruppo”. Lo scorso ottobre il gip di Milano, Tommaso Perna, aveva negato l’arresto di 142 persone su 153 indagati rigettando l’impostazione della pm Alessandra Cerreti che aveva coordinato le indagini dei carabinieri.

Sono 13 le ordinanze depositate su 79 posizioni da esaminare nell’appello proposto dalla Procura di Milano contro i mancati arresti. Per il riesame si “può ritenere che singoli soggetti anche appartenenti alle mafie storiche” abbiano costituito una nuova “associazione di stampo mafioso” che i giudici tuttavia escludono si possa definire in diritto come una “supermafia”, avendo gli appartenenti “trasferito” nella nuova organizzazione tutti i “tratti genetici” delle “associazioni di appartenenza”. L’inchiesta della Dda di Milano aveva qualificato il ‘patto’ fra esponenti di camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra come “struttura confederativa orizzontale” dove “i vertici operano sullo stesso livello”.

L’anno scorso erano state disposte solo 11 misure di custodia cautelare e confermato l’impianto dell’accusa per alcuni reati di droga, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, minacce e frodi fiscali. Nelle carte sono stati documentati 21 summit tenuti nel 2020-21 fra gruppi ristretti di appartenenti nei Comuni di Dairago e Assago, nel Milanese, e 54 diverse società-imprese in comune (ristorazione, noleggio, logistica, edilizia, parcheggi aeroportuali, importazione di materiale ferrosi, sanità e piattaforme e-commerce), queste ultime sufficienti a disporre il sequestro di 225.205.697,62 milioni di euro per false fatture. Tra i nomi più noti citati dall’Antimafia quelli di esponenti di vertice delle locali ‘ndranghetiste di Lonate Pozzolo (famiglia Rispoli collegata alla locale crotonese di Cirò) e Desio (cosca Iamonte legata alla locale di Melito Porto Salvo in Calabria), il clan Fidanzati e i Mannino nel palermitano per cosa nostra, i trapanesi vicini a Matteo Messina Denaro, il gruppo Senese per la Camorra. Il gip ha sconfessato anche il ruolo del presunto uomo di Matteo Messina Denaro al Nord: Paolo Aurelio Errante Parrino, condannato a partire dal 1997 per mafia come appartenente al mandamento di Castelvetrano, guidato dal padre dell’ex superlatitante, Francesco Messina Denaro. 

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