Nella pronuncia la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal gip del Tribunale di Modena

Sono infondati i dubbi sulla distanza minima di 500 metri e sull’obbligo di braccialetto elettronico nei cosiddetti reati di genere, anche se “l’impossibilità tecnica del controllo remoto non può risolversi in un automatismo cautelare a sfavore dell’indagato”. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la senza numero 172, depositata oggi.

Nella pronuncia la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal gip del Tribunale di Modena nei riguardi dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, del Codice di procedura penale, come modificato dalla legge n. 168 del 2023 (ossia il ‘nuovo codice rosso’). “A un sacrificio relativamente sostenibile per l’indagato – afferma dunque la Corte – si contrappone l’impellente necessità di salvaguardare l’incolumità della persona offesa, la cui stessa vita è messa a rischio dall’imponderabile e non rara progressione dal reato-spia (tipicamente lo stalking) al delitto di sangue”.

Il braccialetto elettronico

Il rimettente – spiega un comunicato della Corte – ha censurato tali modifiche normative, inerenti la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, poiché esse, prescrivendo la distanza minima di 500 metri e l’applicazione obbligatoria del braccialetto elettronico, avrebbero reso la misura stessa troppo rigida, in contrasto con il principio di individualizzazione e con la riserva di giurisdizione in materia di restrizione della libertà personale, avendo inoltre la novella stabilito che, qualora l’organo di esecuzione accerti la “non fattibilità tecnica” del controllo remoto, il giudice debba imporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi.

La Consulta ha invece sottolineato che il braccialetto elettronico “è un importante dispositivo funzionale alla tutela delle persone vulnerabili rispetto ai reati di genere, e che la distanza minima di 500 metri corrisponde alla finalità pratica del tracciamento di prossimità, quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla persona minacciata per trovare sicuro riparo e alle forze dell’ordine per intervenire in soccorso”. La Corte ha osservato anche che, sebbene negli abitati più piccoli la distanza di 500 metri possa rivelarsi stringente, “l’indagato ne riceve un aggravio sopportabile, quello di recarsi nel centro più vicino per trovare i servizi di cui necessita; mentre, ove rilevino ‘motivi di lavoro’ o ‘esigenze abitative’, il Codice “consente al giudice di stabilire modalità particolari di esecuzione del divieto di avvicinamento, restituendo flessibilità alla misura”.

In riferimento poi alla riscontrata impossibilità tecnica del controllo elettronico, evenienza oggettivamente non imputabile all’indagato, la Corte evidenzia come la norma censurata possa interpretarsi in senso costituzionalmente adeguato: il giudice, in tal caso, non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, all’esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di idoneità, necessità e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (quale il divieto o l’obbligo di dimora), ma anche una misura più lieve (quale l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). 

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