Il processo è durato 13 udienze celebrate in 10 mesi: ripercorriamo il delitto, il movente, le accuse

Uccisa con 37 coltellate, incinta al settimo mese di gravidanza, dopo essere stata avvelenata per mesi. E’ la storia di Giulia Tramontano. L’autore del gesto efferato, Alessandro Impagnatiello, è la “banalità del male” e lucido “scacchista” e “manipolatore” o un “ragazzo normale” che “voleva tutto” ed è stato travolto da un “crollo improvviso”.
 
A poche ore dalla sentenza ripercorriamo la storia del femminicidio di Senago secondo quanto emerso durante le indagini e nel processo che vede l’ex barman accusato di omicidio volontario pluriaggravato dai futili motivi, l’averlo commesso con crudeltà, la premeditazione e nei confronti della convivente, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non volontaria. Rischia l’ergastolo.
 

 
Il processo è iniziato il 18 gennaio davanti alla corte d’assise di Milano presieduta dalla giudice Antonella Bertoja con la giudice a latere Sofia Fioretta. E’ durato 13 udienze celebrate in 10 mesi. Sono 104 le fonti di prova – verbali di persone informate sui fatti, informative dei carabinieri, copie forensi di cellulari e hard disk, consulenze medico-legali, cartelle cliniche, DVD, chat via whatsapp – raccolte e depositate dai pubblici ministeri in meno di 6 mesi di indagini con il Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano e i carabinieri di Senago.
Sono iniziate il giorno dopo quella che, per 72-96 ore, è sembrata la ‘scomparsa’ della 29enne agente immobiliare originaria di Sant’Antimo. Impagnatiello si trova in carcere dall’1 giugno 2023 quando è stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto, poi convalidato dal gip che ha disposto la custodia cautelare in carcere.
 
La pm Alessia Menegazzo e l’aggiunto Letizia Mannella hanno chiesto e ottenuto il rito immediato. Il 31enne ha cambiato vari legali ed è difeso dalle avvocate Giulia Geradini e Samanta Barbaglia. La famiglia Tramontano, parte civile nel processo, è assistita da Giovanni e Daniele Cacciapuoti.  Negate invece le possibilità di partecipare al processo per il Comune di Senago, rappresentato dall’ex pm Antonio Ingroia, perché il danno “d’immagine” più “che dal delitto in sé” sarebbe stato provocato “dall’esposizione mediatica” e alle associazioni ‘Penelope’ e ‘Polis’.
Chiara Tramontano ospite nella trasmissione Cinque minuti condotta da Bruno Vespa
Chiara Tramontano ospite nella trasmissione Cinque minuti condotta da Bruno Vespa

Il delitto di Giulia Tramontano

Giulia Tramontano è stata uccisa dentro all’abitazione di via Novella 14 a Senago la sera di sabato 27 maggio 2023. Il compagno l’avrebbe colpita “al collo, al dorso e al viso con 37 coltellate”, di cui 11 sferrate quando era ancora viva.  La causa della morta è stata associata ad “acuta anemia meta emorragica da lesioni vascolari cervico-toraciche” nel “tratto prossimale dell’arteria carotide esterna destra, arteria succlavia sinistra e della vena succlavia sinistra”.
 
Per per gli specialisti dell’Istituto di Medicina Legale di Milano, Andrea Gentilomo, Nicola Galante, Ezio Fulcheri e Mauro Minoli prodotte “da azione punta-taglio” di “un’arma bianca compatibile” con i due coltelli da cucina sequestrati dai carabinieri. Le coltellate sono state sferrate a “destra e sinistra”, “posteriormente e anteriormente” ma è impossibile “dire con certezza quale sia stata la prima” e capire se l’ex barman abbia aggredito di dietro la 29enne.
 
“L’impressione” del dottor Gentilomo è “che sia stata colpita “alle spalle” come teorizzano la pm Alessia Menegazzo e l’aggiunto Letizia Mannella nella loro requisitoria: un “agguanto” appena entrata dentro casa.
 
La “morte del feto” è stata “successiva a quella della madre”. La data della morte risale ad “almeno 48 ore” prima del ritrovamento della notte fra il 31 maggio e l’1 giugno e fino a “5 giorni” prima. L’orario della morte – impossibile da stabilire con precisione a causa del corpo incendiato per due volte dopo l’omicidio imbevendo gli indumenti di benzina, alcol e acetone, carbonizzato e imbustato – è da collocare fra le 19.06 e le 21.31 di sabato grazie alle indagini successive: è il lasso di tempo fra l’ultima immagine di una telecamera che riprende viva Tramontano e il primo messaggio che dal suo cellulare viene inviato dal fidanzato fingendosi Giulia. Il corpo è stato fatto alle fiamme almeno due volte nella vasca da bagno e nel box.. Durante il pomeriggio fa una ricerca online “ceramica bruciata vasca da bagno”.
 
Sarebbe stata uccisa in “sala”, presa da dietro e Impagnatiello sarebbe “sicuro” che ai loro piedi non ci sia il “tappeto”, “messo dopo”, così come “il divano” “coperto da un telo”. A dirlo è il luminol che può rilevare fino a un “milionesimo di grammo di sangue”. Gli investigatori della sezione investigazioni scientifiche dei carabinieri di Milano e del Ris di Parma depongono a processo sui dettagli e la dinamica dell’omicidio. Tracce di sangue sono state rilevate in “sala, cucina, nel disimpegno sul battiscopa, in bagno sul tubo della vasca, sullo scarico, nel pavimento vicino alla lavatrice”. Come a disegnare un percorso del cadavere, bruciato nella doccia e portato in “cantina e box”, dove a ‘brillare’ sono 2 “assi di legno”. Forse usate per trasportare il corpo con un “carrellino”, quello acquistato ore dopo il delitto. Sul pavimento del soggiorno il luminol ha prodotto una “luce intensa, quasi a giorno” per “parecchi minuti”, spiega il colonnello, a capo del Sis che ha eseguito i rilievi del 6 giugno. “Lì c’è stato uno sversamento cospicuo di sangue”.
 
Una prova che contrasta con il “divano e tappeto completamente puliti”. Coperti o spostati – è l’ipotesi accusatoria – che a questa evidenza devono aggiungere un altro fatto: l’unico “schizzo” di sangue su una parete verticale è quello sul muro “davanti alla porta d’ingresso”. Eppure le mura della casa di via Novella 14 a Senago sono “vicine” anche in bagno e in cucina. Se l’omicidio si fosse consumato lì “si sarebbero visti gli schizzi”. I giudici devono stabilire cosa significhi: l’arredo spostato pochi minuti prima del rientro in casa della fidanzata, che ha appena scoperto del tradimento, potrebbe essere un’altra prova della premeditazione, come anche lo schizzo “davanti alla porta” che può indicare un omicidio a sangue freddo appena entrata nell’abitazione.
 
Da capire come è stata spostata. In casa c’è assenza di segni evidenti di “trascinamento” perché il “pavimento è stato lavato bene” ma non abbastanza da nascondere il sangue, strofinato con un “mocio o uno straccio”.
 
Qualche dubbio rimane sulle ‘armi’, i coltelli da cucina. Sono prive di “impronte digitali” nonostante nella prima dichiarazione, la sera del fermo, il 31enne abbia parlato di una “cena” consumata “separatamente” fra fidanzati dopo la lite. Le lame sono “compatibili con le lesioni” ma presentano dna “dal profilo misto”. “Non è strano che non ci siano impronte sui coltelli da cucina?” Incalzano retoricamente le pm? Più semplice la ricostruzione sull’auto Ford T-Roc bianca, analizzata già il 31 maggio. Il sangue? “Si vedeva a occhio nudo. Di solito non mi sbilancio ma ho detto ‘questo è sangue, è una reazione di sangue umano’” afferma un detective. Durante quei rilievi incontra l’imputato tre volte fra i corridoi dell’Arma e bar. “Aveva lo sguardo basso e sembrava pensieroso”. Una “impressione” durata “pochi secondi”.

L’incontro con l’amante prima dell’omicidio 

Sabato 27 maggio gli aventi accelerano improvvisamente. Alle ore 14.38 Giulia Tramontano viene contattata telefonicamente dall’amante del fidanzato. Le confida di essere la donna che nei mesi precedenti ha intrattenuto una relazione con Impagnatiello. Racconta la verità: si sono conosciuti prima dell’estate 2022. La relazione è iniziata a settembre 2022 quando sa di essere ‘l’altra’. A dicembre-gennaio viene convinta di essere la sola e unica donna. Un paio di volte è stata anche nella casa di Senago ma non ha notato vestiti da donna o prodotti cosmetici e altro tali da insospettire. Rimane incinta e abortisce per sua scelta. A marzo lui parte per un viaggio a Ibiza. La ragazza scopre dalle foto  sui social che Impagnatiello si trova con Tramontano, con il pancione.
 
Lui spergiura: “Non sono il padre, sto aiutando Giulia perché è mentalmente instabile e bipolare, ha detto di volersi uccidere”. La blandisce raccontandole il suo segreto: ha già un figlio. Le mostra un test di paternità falsificato rispetto alla nuova gravidanza. Lei lo scopre il 5-6 maggio quando fa delle ricerche sul tablet del ragazzo e trova i loghi falsi della clinica Santagostino e file excel del finto dna. Inizia una contro-inchiesta personale per avvisare Giulia.
 
Il 9 maggio abbandona di proposito un labello da donna nella macchina di lui. Filma l’appuntamento con il barman durante il suo 23esimo compleanno. “Volevo raccogliere prove” dirà in aula. “Sapevo tutto ma volevo capire dove arrivava con le bugie”. Le due si scambiano informazioni legate alle rispettive gravidanze.  “Mi dispiace tanto, mi si spezza il cuore”. Risposta Tramontano: “Assisterai al suo fallimento, lui nega, caccia le prove che hai”.  “Di prove ne ho mille, ho iniziato a registrare, ti farò ascoltare tutto. Ti prego salvati appena puoi, proteggi te e tuo figlio – si legge nelle chat agli atti – Se avessi scelto di tenere il mio bambino sarei nella tua situazione. Io soffro ancora per l’aborto, per questo adesso voglio e devo salvare te”.  
 
Parlano i whatsapp fra le due. “Questa persona va rinchiusa in un buon ospedale psichiatrico”, scrive Tramontano. “Mai fatto test di paternità – scrive – non ne avevo bisogno”. L’altra risponde: “Ha detto che sei scesa e che sei stata con un altro a Napoli”. Giulia dice di sapere “tutto” da febbraio e scrive: “Magari… Andrea dovrebbe essere il tuo finto ragazzo o reale non so…”. “È il mio ex, non stiamo più insieme”. Sono i minuti in cui chiede ossessivamente prove, audio, video, fotografie che inchiodino Impagnatiello con il quale è fissato un incontro chiarificatore a tre fuori dall’Armani Bar di Milano che avviene e dura dalle 16.58 alle 18.21. Durante i messaggi accanto a Tramontano c’è la madre di lui, Sabrina Paulis, che l’adora e soffre a sua volta. “Basta, non guardare più, dille di finirla, ti fai male, la verità la sai adesso”, le chiede implorando di poterla accompagnare a Milano. “Ti prometto che sto distante”.
 
Verso Milano le ragazze continuano a chattare: “Ma per caso hai perso un labello bordeaux in macchina?”, chiede Giulia con riferimento all’oggetto che ha trovato una settimana prima nella Ford T-Roc del fidanzato. “Io quello l’ho messo in macchina apposta, sperando che lo avresti trovato” le risponde la  italo-inglese. “Sei grande, grazie. Sono più attenta di quello che crede lui” si legge in chat. “Pensa che noi siamo stupide”, la replica. Al rientro alle 18.45 dall’appuntamento in cui Impagnatiello non si presenta, Sabrina Paulis prende alla metro la 29enne. “Devi trovarti un’altra nuora” le si rivolge Giulia. “Io ho risposto che un’altra nuora a casa mia non ci entrerà più” testimonia la donna a processo. Invita Giulia a non andare a casa e venire da lei. La ragazza rifiuta ed entra nell’appartamento. Poco dopo le 19 una vicina di casa sente “un urlo di donna” e poi il silenzio. I telefoni tacciono per qualche ora. 

Il veleno per topi e le ricerche sul web

A Giulia Tramontano è stato somministrato per mesi, in più occasioni un topicida: il bromadiolone. Per la Procura di Milano è la prova delle premeditazione del delitto da parte di Alessandro Impagnatiello. Nessun “raptus o blackout” ma  un “piano curato e iniziato molti mesi prima” con la “somministrazione periodica” alla vittima di topicida, ammoniaca, cloroformio acquistato sotto falso nome dopo aver effettuato ricerche sul web sui “5 veleni mortali”.
 
Il veleno viene percepito da Giulia come un sapore “amaro” nelle vivande, di cui parla alla famiglia, che le provoca “emorragie a livello gastrico” associabili ai continui mal di stomaco lamentati dalla giovane incinta in quei mesi. “Mia figlia stava male a dicembre, gennaio, febbraio – racconta la mamma -. In una conversazione con Impagnatiello lui mi manda la foto di Giulia che dorme e mi dice che le ha preparato una tazza di tisana, me l’ha fatta vedere”.
 
Il bromadiolone è letale per l’uomo solo in “grandi quantità” come dimostra il caso degli Stati Uniti, in cui nel 2015 su 44mila casi di avvelenamento accidentale si sono registrati 8 decessi. La sostanza è stata sequestrata nello zaino di Impagnatiello. Il barman ha cercato su google il composto chimico e gli effetti sull’uomo almeno a partire dal dicembre 2022 dopo aver scoperto della gravidanza. Dall’analisi dei suoi dispositivi sono emerse le ricerche “veleno”, “cloroformio” e “ammoniaca”, ‘avvelenamento feto’, ‘veleno topi gravidanza’, ‘chi fa l’aborto dopo 3 mesi’, ‘aborto spontaneo dopo 7 mesi è possibile’. Per la difesa del 31enne il veleno non è “mai” stato indirizzato a uccidere “la madre” ma ad eliminare il “feto”. La molecola del bromadiolone è stata rilevata nel fegato, nei capelli della vittima, placenta e feto. Prima della morte “sembra di assistere a un aumento della somministrazione” spiega il tossicologo Minoli. Dall’analisi del capello nel tratto 1-3 centimetri “l’inizio dell’assunzione” è datata “almeno 2 mesi prima” ma le quantità trovate non sarebbero mai state potenzialmente mortali. E’ escluso che sia stato “assorbito per contatto” fisico o o “inalazioni” perché “molto difficile dall’esterno che possa entrare nel capello”. 

Il movente di Impagnatiello

Il movente razionale del femminicidio di Senago è uno dei misteri irrisolti. La persona che, a processo, è riuscita meglio a descrivere la psiche di Alessandro Impagnatiello è stata l’amante, la collega 23enne italo-britannica che poche ore prima dell’omicidio s’incontra con Giulia Tramontano e le racconta la verità sul compagno. Secondo “lei Impagnatiello voleva tutto”. In effetti in aula incrociando messaggi e testimonianze dei famigliari di lui e della vittima emerge come Giulia e la collega non fossero le uniche donne che stesse ingannando. Pochi mesi prima dell’aperitivo, quel “bravo” e “normale” ragazzo – lo ricordano i testimoni in aula – inganna la madre campana della fidanzata, Loredana Femiano, a cui spergiura di volere un figlio “entro un anno”. Con sua madre, Sabrina Paulis – che depone fra le lacrime davanti ai giudici popolari – immagina di avere un figlio, chiamarlo Thiago e dopo “5 anni andare “tutti a vivere in Spagna”. Voleva anche questo per sé. Il 5 gennaio 2023 convince la fidanzata a non abortire, dopo aver cambiato idea ogni giorno come “un’altalena”, mettendo in crisi la ragazza desiderosa di maternità. Contemporaneamente sogna la “donna della vita”, la 23enne con cui intrattiene la relazione parallela, che ha messo incinta (abortirà) e alla quale 7 giorni prima di uccidere Giulia giura amore eterno.
 
“A settembre mi auguro di essere ufficialmente fidanzato” (con te, ndr) è la lusinga che le regala davanti a un bicchiere di vino ambrato nel prestigioso locale Ceresio 7 di Milano. Il video è del 20 maggio. Quella sera è uscito con lei a celebrare il 23esimo compleanno di lei che 10 giorni dopo avrebbe mollato il lavoro all’Armani per volare all’Isola d’Elba per la stagione. Ha detto alla fidanzata di trovarsi fuori regione per una “grigliata” con amici. L’ha lasciata sola mentre i corrieri consegnano nell’abitazione di Senago il mobilio per la stanza del bimbo in arrivo.  Tra il 25-26 maggio per i pm vi sono indizi di una “volontà omicidiaria” ore prima di sapere dell’incontro fra le due donne. Lei vuole lasciarlo e lui le risponde: “Ma che madre sei?”.
 
Il 26 maggio alle 8.38 del mattino effettua la ricerca “come disconnettere whatsapp da dispositivi mobili”. Sono però anche i mesi in cui, di fronte alle lamentele di Giulia per le molte assenza da casa, ha manifestato l’intenzione di “stoppare” per un po’ i turni massacranti notturni da barman, in attesa del bimbo che sarebbe dovuto nascere in estate. Rincasa presto alla sera e festeggia da buon padre di famiglia il ‘baby reveal’ di Thiago, per scoprire il sesso del nascituro, immortalato dagli smartphone fra abbracci dei parenti e sorrisi. Allo stesso tempo sogna di tornare dietro al banco dell’Armani Cafè di via Montenapoleone perché essere solo padre e compagno per lui è un sacrifico. Coltiva l’aspirazione di diventare “manager”. Perché i capi gli fanno i complimenti per come lavora. Ha preparato cocktail e drink persino per artisti internazionali e calciatori di Serie A che lasciano mance importanti con cui arrotondare lo stipendio.
 
“Voleva tutto”: la compagna e l’amante, il figlio e la carriera e le mance. Per l’accusa è questo il triplice movente: il bimbo (che non vuole), la carriera e la libertà con l’altra donna. Come triplice è il profilo psichiatrico tracciato dalla perizia e dai pm che parlano di “triade oscura”: “psicopatia”, “narcisismo “ e il “machiavellismo” di chi ha la “capacità di mentire e manipolare”. Per l’avvocato Giovanni Cacciapuoti che assiste la famiglia Tramontano, costituita parte civile, c’è un quarto movente: economico. Scoperto nel suo tradimento con la compagna incinta avrebbe dovuto sborsare denaro per aiutare Giulia – che lo stava lasciando – e il figlio. Con alle spalle già una relazione saltata e un figlio di pochi anni a cui versare un assegno mensile.

La consulenza della difesa, il ‘maschio fragile’ e le donne pedine di una scacchiera

I consulenti della difesa, Raniero Rossetti e Silvana Branciforti, descrivono Impagnatiello come affetto “da importanti” disturbi “narcisistici, ossessivi, paranoidei” e un “maschio” che si sente “onnipotente con in pugno la quotidianità” di due donne e che “si è trovato improvvisamente a essere un maschio fragile, in balìa delle due, delle loro rivelazioni e infine da loro scoperto nelle sue bugie a raffica e nelle sue manipolazioni”. Nel primo squarcio sulla mente di Impagnatiello – depositato dalla difesa – l’amante viene descritta come “una pedina nella mia immaginaria scacchiera”. Giulia Tramontano come “nemica” che ha “minato e mandato a pezzi” la sua “quotidianità pompata” da fantasie di “carriera da intraprendere nel mondo dello spettacolo” grazie a qualche “famoso cliente”.
 
Rossetti del Fatebenefratelli-Sacco di Milano ha incontrato il 31enne in cella due volte – il 12 e il 31 ottobre 2023. La collega Branciforti lo ha sottoposto a test psichiatrici. Per loro quell’ex barman dell’Armani Cafè di Montenapoleone, che si auto-racconta come “vezzeggiato e quasi coccolato”  da “calciatori e personaggi televisivi” e “veline” a cui dava “del tu”, sarebbe “assolutamente credibile” quando dichiara che “il mondo mi è crollato addosso” quel sabato pomeriggio, quando Tramontano ha scoperto della relazione clandestina. E’ in quel momento che avrebbe subìto una “tremenda ferita narcisistica” che lo ha portato ad avere una “percezione patologica della figura di Giulia” alterandone il “dato di realtà”. Quando l’ha accoltellata non l’avrebbe vista “lucidamente” come “compagna di vita” e “madre del figlio che stava per nascere” ma come “nemica che aveva minato e poi mandata a pezzi la sua quotidianità”, si legge nelle 14 pagine di consulenza. Le tracce del narcisismo patologico secondo i consulenti sarebbero in ogni frase, in ogni pensiero, addirittura in ogni luogo ‘abitato’ di Impagnatiello.
 
La collega e amante era “una tirocinante che ero incaricato di seguire”. “Si è invaghita di me – dice -. Ho provato a interrompere il rapporto ma non ci sono riuscito”. “Mi desiderava – prosegue – l’essere desiderato da lei mi faceva star bene. Il fatto che mi desiderasse e mi aspettasse mi faceva sentire appagato”. Con la giovane alimentava la “pulsione narcisistica” contrapposta alla “normalità della casa di Senago” e dei “centri commerciali” di provincia dove acquistare la “cameretta” del bambino in arrivo.
 
Così la doppia vita è diventata “via via ipertrofica e disfunzionale”. Stando al suo racconto era “come se vivessi due vite diverse: una, al lavoro, e l’altra fuori al lavoro e dentro casa con Giulia”. Una situazione di “stress” ma anche di “godimento” e “orgasmo” mentale. Tale si sarebbe sentito nell’essere “concupito da una femmina più giovane di Giulia” con cui intratteneva una “relazione” e allo stesso tempo dall’essere “in grado di gestire le due donne, l’una all’insaputa dell’altra”. Al consulente ha detto che era la “gestione di due persone che controllavo con false verità” . “E’ come se si fosse detto, ammirandosi allo specchio, guarda come sono bravo a gestire due donne, senza che loro sappiano l’una dell’altra… Sono proprio bravo”, annota il criminologo. Il momento per fermare la valanga si sarebbe potuto trovare in ogni istante. Fino alla fine Impagnatiello ha alimentato il mito di sé come il ‘bravo ragazzo’ di cui ha parlato lui stesso in aula. “Quando prenderò in braccio il bambino questa doppia vita sarà spezzata”, rifletteva. E’ “responsabile di questo gesto bieco in maniera lucida e perfettamente coerente” risponde a distanza il legale della famiglia distrutta. “Gli atti gridano la consapevolezza estrema di Impagnatiello che si è reso protagonista di questo film dell’orrore”.

Impagnatiello capace di intendere e di volere

Non penso di essere pazzo, ho sperato di esserlo negli scorsi mesi per dare una risposta ma non penso di esserlo. Quando ho saputo in carcere delle 37 coltellate, la cosa che feci immediatamente davanti alla TV è stato mimare il gesto della mani per 37 volte. Ho detto ‘c’è un errore’. È una cifra spaventosa, soffocante”. Così Alessandro Impagnatiello rivolgendosi alla corte. Nonostante l’auto-dichiarazione di normalità, la corte il 27 giugno nomina i periti per la perizia psichiatrica, con l’obiettivo di blindare la decisione. Viene depositata la sera del 15 ottobre a pochi minuti dalla scadenza dei termini. A muovere Impagnatiello sarebbe stata una “rabbia fredda”. E’ la definizione clinica del ‘sentimento’ che la sera del 27 maggio 2023 lo porta a uccidere la compagna Giulia Tramontano. Una “dimensione rabbiosa” – dicono in aula i periti della corte d’assise di Milano, gli psichiatri genovesi Pietro Ciliberti e Gabriele Rocca – che sarebbe stata connotata da “freddezza” e mossa “dalla sua sconfitta”. Dietro l’omicidio c’è “smascheramento” della sua relazione parallela e per consulenti psichiatrici c’è la piena capacità di intendere e di volere. Nulla che avrebbe a che fare con una malattia psichiatrica “grave”.
 
Non era affetto da disturbo paranoide, che lo avrebbe portato a vivere nel “sospetto” in ogni “contesto” della sua esistenza. A cominciare da quello “lavorativo” e che invece è “incompatibile” con la “vita sociale” che l’ex barman ha raccontato nel corso di 3 colloqui clinici condotti in carcere a San Vittore fra luglio e ottobre. Non soffre di disturbo ossessivo-compulsivo tipico di un carattere “inflessibile” dal “punto di vista etico”. Contrariamente alla figura del killer di Senago, per il quale si può parlare di “compromissione dell’equilibrio morale”.
 
Non è un soggetto borderline. “L’essere umano può fare cose drammatiche indipendentemente dalla sussistenza di disturbi psichiatrici o di personalità” è la frase che riassume il processo. Test ed esami non hanno rivelato “una causalità fra una patologia psichiatrica e un distacco dalla realtà”, anche momentaneo. Ciò sarebbe compatibile con il fatto che Impagnatiello non ricordi in alcun modo il numero di coltellate inferte alla vittima e che sostenga di aver appreso dai media questo dettaglio una volta arrestato, come ha spiegato in più occasioni. La “dissociazione”, può essere anche un “fenomeno fisiologico” in chi affronta eventi “traumatici”, ha chiarito il professor Rocca (già consulente della Procura di Genova per le conseguenze psicologiche sulle vittime del Ponte Morandi). Ha ricordato ai giudici popolari come, paradossalmente, anche un omicidio può essere una situazione clinicamente “stressante” se a commetterlo è una persona priva di una ”storia di devianza e serialità omicidiaria”. Le parole che invece emergono costantemente dalla perizia di Impagnatiello, sono “maschera” e “vanto”, i costrutti della “bugia” e della “vanità”. “La maschera è anche una modalità lineare per mantenere la gestione dell’altro” hanno spiegato i dottori portando l’attenzione sul tema del “controllo” e della “manipolazione”.

Le ultime tappe del processo: requisitorie e arringhe

Ergastolo per la Procura di Milano. Omicidio volontario semplice per la difesa di Alessandro Impagnatiello. Per l’accusa quello di Giulia Tramontano è stato un omicidio premeditato, aggravato da crudeltà, futili motivi e legame affettivo, con l’obiettivo di trasformare la 29enne di Sant’Antimo in “cenere”. Nessuna attenuante per un “viaggio nell’orrore”, dentro la “banalità del male”. Si associa l’avvocato Cacciapuoti per la famiglia Tramontano che per un uomo che  “non sa cosa sia l’amore” chiede il “massimo delle pena”.
 

 
Stessi fatti e stessa cronologia di eventi che però fanno ritenere alla difesa di essere di fronte a uomo che non è un lucido “scacchista” e “manipolatore” bensì travolto dal “crollo improvviso” della sua esistenza menzognera. Una slavina innescata dallo “smascheramento” che compiono le due donne rivelandosi la verità. Lo fanno fuori dal suo luogo di lavoro, in un contesto “inaccettabile” per lui che vive il momento in “maniera distruttiva” come un “fallimento” e “qualcosa di irreparabile”. E’ quello che nei processi si chiama “l’elemento soggettivo”. Impagnatiello risponde con la “rabbia fredda” di cui hanno parlato gli psichiatri, mettendo in atto una serie di “macroscopici errori”, “azioni maldestre” con “improvvisazione” quasi “implorasse di farsi scoprire”.
 
Le legali negano la premeditazione del delitto sostenendo che se avesse organizzato di “sbarazzarsi” del corpo non avrebbe acquistato il carrellino per spostare il cadavere 72 ore dopo l’omicidio. Così come la benzina per incendiare il cadavere comprata dopo la morte. Si oppongono all’idea che pensasse da mesi alla morte di Tramontano perché le ricerche sul web iniziate a dicembre 2022 (‘avvelenamento feto’, ‘veleno topi gravidanza’, ‘chi fa l’aborto dopo 3 mesi’, ‘aborto spontaneo dopo 7 mesi è possibile’) non “sono mai indirizzate verso la madre” ma verso il “feto”.
 
Negano i futili motivi, chiedendo ai giudici popolari di mettersi dal punto di vista, malato ma esistente, di Impagnatiello in quelle ore. Chiedono che non sia riconosciuta anche l’aggravante della crudeltà perché le 37 coltellate arrivano in un’unica “soluzione”. Per quanto “agghiacciante” sia quello che è successo “dopo” (il fuoco, il depistaggio) non incide sull’omicidio in sé. Chiedono le attenuanti generiche con cui bilanciare l’aggravante del delitto commesso sulla convivente e ricondurre il capo d’imputazione a un omicidio volontario semplice. Un’ipotesi, remota, risparmierebbe al 31enne detenuto da un anno e mezzo a San Vittore, un ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata