Alla vigilia dell’8 Marzo, la piazza di San Babila si trasforma in un atto di denuncia grazie all’opera “Anatomia del patriarcato: non (solo) corpi” di Cristina Donati Meyer. L’artivista (attivista e artista) milanese, nota per le sue installazioni pubbliche a sfondo sociale, porta in scena un femminismo crudo e viscerale, capace di scuotere le coscienze.
L’opera, realizzata con manichini in frantumi, racconta la violenza sistemica sulle donne: ogni frammento riporta numeri e parole che pesano come macigni – disparità salariale, femminicidi, insulti sessisti. Non una celebrazione, ma una ferita aperta nella città, un monito che ricorda come l’8 Marzo sia ancora una battaglia.
“Questa non è arte decorativa: è un grido”, afferma Donati Meyer. “Ogni pezzo rappresenta un’ingiustizia che subiamo ogni giorno. Ma quel fucsia non è sangue: è linfa. È la prova che dalle ferite può nascere una rivoluzione”. In un’epoca di pinkwashing e femminismo di facciata, la sua installazione ribadisce che il fucsia non è un colore, ma una trincea.
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