La figlia Francesca a La Presse: "Le sue passioni i giovani e la lotta alle fake news"
Due cartelline blu, colme di appunti dattiloscritti e contrassegnate dall’etichetta “giornalismo”, erano gli strumenti di lavoro di Annibale Paloscia, capocronista dell’Ansa negli anni di piombo e, dal 1996 al 2000, vicedirettore di Avvenimenti. Quei documenti, utilizzati per i corsi di giornalismo che Paloscia tenne all’inizio degli anni ’80 presso le scuole di Urbino e Perugia, e nei gruppi di giovani impegnati in giornali di quartiere o pubblicazioni scolastiche, sono oggi raccolti in un libro. Ritrovato dalle figlie Francesca e Marta dopo la sua scomparsa, questo materiale è stato ordinato e pubblicato con il titolo “Informazione e libertà di pensiero. Appunti di un giornalista” (Ed. All Around), in libreria da fine novembre.
“Abbiamo trovato questi appunti nella stanza dove nostro padre trascorreva la maggior parte del tempo,” racconta Francesca a La Presse. “Le dispense che compongono il libro furono scritte tra gli anni ’70 e la fine degli anni ’80.”
Annibale Paloscia si distinse come una figura centrale nel panorama giornalistico del suo tempo, capace di dare profondità e valore alla notizia. Non si limitava a riportare i fatti in superficie, ma indagava a fondo, consultando fonti multiple per evitare errori e inesattezze, precorrendo quella che oggi definiamo la lotta alle fake news. Una dedizione che gli valse, nel 1981, il premio di Cronista dell’Anno. “Era il periodo del rapimento del magistrato D’Urso,” ricorda Francesca. “In redazione si diffuse la notizia del suo rilascio, ma mio padre volle verificare prima di diffonderla. Il suo intuito gli diede ragione: D’Urso era ancora nelle mani delle Brigate Rosse.”
Al centro del libro emerge un insegnamento chiaro: il quarto potere deve essere esercitato con responsabilità e secondo regole precise. Prudenza, consapevolezza e rispetto per l’importanza del ruolo del giornalismo nella società civile sono i pilastri della professione. Informare significa influenzare lo spirito pubblico, contribuendo alla formazione della coscienza politica collettiva, nel bene e nel male. In questo risiede la missione del giornalista professionista, che, come sottolinea Paloscia, “Non può concedersi le libertà che spettano al dilettante”.
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