L'autrice ha pubblicato per HarperCollins 'Il Dio che hai scelto per me', dove racconta quanto subito nella comunità di Geova e il grande passo per uscirne: "La colpa dei miei genitori? L'avermi abbandonata"

“Per stare meglio ascolto il ‘coro’ delle persone che mi ringraziano per averne parlato. La voce ritrovata di tutti i figli dimenticati. E dico loro: uscirne si può, è possibile“. Martina Pucciarelli racconta così come sta affrontando i giorni dell’uscita del suo romanzo Il Dio che hai scelto per me’, nelle librerie dal 21 gennaio, edito da HarperCollins. Un romanzo che è un pezzo della sua vita, quello passato in una comunità di testimoni di Geova. Venerando un Dio che lei non ha scelto, ma che la sua famiglia ha scelto per lei.

Pucciarelli: “Abusi e soprusi ma si può uscire”

Il romanzo è già stato paragonato a ‘Unorthodox’. Nonostante tutti conoscano i testimoni di Geova, infatti, nessuno, forse, prima di oggi, ne aveva parlato in modo così approfondito. ‘Il Dio che hai scelto per me’ è il racconto di una comunità fatta di abusi e soprusi, di patriarcato e libertà negate. Niente feste, niente compleanni, niente lavoretti a scuola. Ma più che altro è un racconto di coraggio. Pucciarelli, mentre ne parla, continua a parlare di fortuna: “Sono stata fortunata, la mia è una storia fortunata. Le poche persone che avevo fuori mi hanno aiutata tantissimo”, dice. Ma la parola che viene naturale sentendola parlare non è fortuna, bensì coraggio. Una forza di donna che si racconta con un sorriso sulle labbra, nonostante tutto, e che potrebbe essere un esempio per le altre: “Mi ha colpito, perché la maggior parte delle persone che mi ha scritto sono ex testimoni di Geova usciti come me, ma altre sono persone che sono ancora là dentro e stanno cercando di fare il salto, ma fanno fatica a farlo. Spero che a queste persone questo libro arrivi per dire che ce la si può fare, si può fare“.

Pucciarelli: “Abbandonata dai miei genitori”

E’ importante, per fare il salto, sapere di avere qualcuno ‘fuori – dice Pucciarelli – nel mondo’. Perché quando tagli i ponti, è per sempre:L’unica cosa che non perdono ai miei genitori è l’avermi abbandonata. Tutto il resto non vale, non posso dare colpe, ognuno fa il genitore con gli strumenti che ha. Ma non perdono il fatto che abbiano rinunciato totalmente a una figlia e a dei nipoti. Per il resto non mi sento di dare dei giudizi”.

Nemmeno sull’abuso sessuale da lei subito all’interno della comunità di cui parla nel romanzo? “No, so che mia madre aveva capito qualcosa, io ho chiesto di parlare con una sorella di fede, che ha peccato di superficialità. Non esprimo un giudizio su di loro, ma al di là degli sbagli, non si abbandona un figlio. Questa è l’unica colpa, presente, attuale”.

Il libro è fortemente autobiografico, ma di fatto è un romanzo, e ne ha la tensione narrativa. Nulla è inventato, specifica Pucciarelli, ma molto è omesso. “Mi sembrava giusto renderlo un romanzo e non un memoir perché innanzitutto io non sono nessuno, non sono Lady Gaga, che alla gente interessa la mia storia. Poi ci sono temi universali, ho voluto fare un romanzo e non una biografia fedele anche per tutelare alcune persone che sono state completamente eliminate dalla narrazione. Volevo fare un romanzo vero, ecco”, dice l’autrice.

A leggere le pagine di Pucciarelli vengono i brividi: molte cose si sanno sulle comunità di Geova, molte altre si ignorano. “Ieri mi ha scritto una mia compagna di liceo, mi ha vista su La7 e mi ha detto ‘sei stata brava negli anni della scuola a proteggere i tuoi genitori’. Ma io le ho risposto che il fatto è che quando sei così piccolo non ti rendi tanto conto di tutto, ti destreggi tra la vita dentro e quella fuori, fuori nel mondo tu ci vivi. Un minimo di socialità con gli altri devi averla, banalmente trovi i tuoi modi per stare con un piede in due scarpe. Con la scusa delle attività extracurricolari ho approfittato tantissimo della scuola. A volte frequentavo i miei coetanei di nascosto, omettevo di dire che li avevo visti. E’ una realtà poco conosciuta perché anche tu da ragazzino vivi anche una vergogna molto forte, non hai voglia di dire ai coetanei ‘Non ti posso frequentare perché è fortemente sconsigliato frequentare persone nel mondo’, perché tu gli stai dicendo io sto con persone che riteniamo migliori di voi. Le regole non scritte restano all’interno della comunità, nessuno le conosce, non escono fuori”.

Pucciarelli: “Presi antidepressivi a 13 anni”

Nel romanzo Pucciarelli racconta anche il fatto che a 13 anni ha iniziato a prendere antidepressivi, fino ai 15 anni: “E non credo sia un caso che ho smesso di farlo quando ho iniziato a frequentare le attività extrascolastiche. Sono stata un’adolescente che amava andare a scuola, perché era il mio punto di contatto con l’esterno e dove potevo sentirmi libera di essere me stessa. La scuola era il mio escamotage“.

La comunità, Pucciarelli, la definisce “totalizzante” e “patriarcale”. “Il mio rapporto con Dio era totalizzante. Ma nessun rapporto totalizzante è sano“, spiega. E oggi crede in Dio? “Oggi posso dire che in qualche modo lo sto cercando ma non mi sento di aderire alle dottrine di nessuna confessione religiosa. Però mi sto avvicinando alla figura della Madonna: nei testimoni di Geova non è affatto venerata, mentre per me adesso mi piace pensare che sia la madre di tutte le madri e avere anche me come figlia”.

Pucciarelli, l’addio si Testimoni di Geova maturato con la maternità

All’interno della comunità tutto sembra distorto: anche la maternità. Che è proprio il momento in cui Martina Pucciarelli sente ‘lo scatto’ dentro di sé: la paura di crescere lì i figli, o di perderli, la spinge ad andare in terapia, dove arriva con estrema fatica visti gli ostacoli nella comunità. E poi, dopo molto lavoro, decide di andarsene. “A me preme che i miei figli sappiano che io ci sono. So che un giorno si separeranno da me, prenderanno la loro strada, ma devono sapere che la porta è aperta. I miei figli sono altri da me, questo mi è chiaro ma mi preme che sappiano che io ci sono. Che le radici queste sono e sono solide. Sono felice perché la paura di perderli è stata fortissima ancora prima che nascessero: quando ho realizzato che se io fossi rimasta testimone di Geova e loro no, di sicuro li avrei persi, ho realizzato che non volevo che questa cosa accadesse – spiega -. Dunque ho cambiato le condizioni di partenza. Lo rifarei sempre, lo rifarei di sicuro”.

Quando ha scelto di uscire dalla comunità “non avevo un lavoro, non avevo una competenza, non avevo un conto corrente”, dice. “Ma ho avuto poche persone, che sono state fondamentali per me”, racconta. Per reinserirsi nel mondo. Per “imparare a vivere” un’altra volta. Ma uscirne si può: e il suo romanzo lo racconta in modo sublime.

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