In tour nei teatri con due spettacoli: 'Din Don Down - Alla ricerca di (D)io' e 'Il Babysitter - Quando diventerai piccolo capirai'
Paolo Ruffini, in questi mesi, è in tour nei teatri con due spettacoli: ‘Din Don Down – Alla ricerca di (D)io’, un concentrato di spregiudicata ironia e brillante improvvisazione, dove condivide il palco con attori affetti da disabilità, e ‘Il Babysitter – Quando diventerai piccolo capirai’, esilarante e toccante show che vede Ruffini affiancato da tre giovanissimi interpreti. Due spettacoli che in qualche modo si somigliano, che coinvolgono il pubblico e invitano a riflettere sorridendo: “Non è faticoso portare in scena due spettacoli, è super stimolante, mi confondo e mi piace un sacco. Non riuscirei a fare questo lavoro in modo ordinario – spiega l’artista toscano – non credo ci sia una gran differenza tra i due spettacoli, è un dittico complementare. Spesso chi soffre di sindrome di Down viene definito un bambino. Come loro infatti non hanno filtri, mentono benissimo, quindi sono degli attori perfetti, e non sono mai falsi”. E sottolinea quanto sia bello condividere il palco “con esseri umani che hanno valori importanti”.
Riguardo il messaggio di ‘Din Don Down’, “non l’ho ancora trovato – confessa l’attore classe 1978 che aveva già messo in scena il tema della disabilità con ‘Up & Down’ – pone tante domande senza dare risposte concrete ma alla fine dello spettacolo vedo il pubblico estremamente felice. Lo invidio, vorrei vederlo anche io lo spettacolo, e capire quello che ha di speciale: è qualcosa che va oltre me”.
Sfida ai confini del politicamente corretto
Con ‘Din Don Down’ si vogliono sfidare i confini del politicamente corretto e approcciarsi a un grande concetto, quello di Dio, a prescindere dalle forme o alle sembianze in cui ciascuno possa riconoscerlo: “Si evince dal sottotitolo – fa notare Ruffini riferendosi alla ‘D’ di Dio inserita tra parentesi – che la ricerca di Dio è la ricerca dell’Io. Se siamo a sua immagine e somiglianza e abbiamo voglia di crederci – prosegue – significa che anche le persone con disabilità, come le normodotate, sono comunque la parola scintillante e lucente di Dio”. E riguardo il ‘politicamente corretto’, Ruffini ha le idee chiare: “Credo sia la cosa più volgare che l’uomo potesse immaginarsi nell’epoca moderna. È una forma di limite creativo che se si fosse applicata sempre, non ci avrebbe regalato degli artisti e dei geni come Villaggio, Pasolini, Fellini, Antonioni, Bertolucci. Non significa che non si debba avere una sensibilità legata alle parole, ma si deve avere in altri contesti, non nella creatività o nell’arte. Arte politicamente corretta è un ossimoro. E’ impossibile che lo sia ed è una censura”, aggiunge.
Il Babysitter tra leggerezza, divertimento e riflessione
E poi c’è ‘Il Babysitter’. Diretto e interpretato da Paolo Ruffini, è ispirato all’omonimo podcast che ha conquistato il pubblico su Spotify e sui social network, regalando uno sguardo puro e spontaneo sul mondo e sulle tematiche esistenziali proprie della vita degli adulti, attraverso interviste a bambini tanto ironiche quanto profonde. “Cosa prevale tra leggerezza, divertimento e riflessione? L’armonia di tutti e tre gli elementi ma anche l’armonia degli elementi sbagliati nel posto sbagliato”, racconta. I tre bambini sul palco, secondo Ruffini, sono tre “meteoriti” che tentano di “sabotarlo” per poi creare degli imprevisti: “I bambini non hanno bisogno di maschere e costumi, loro non hanno bisogno di pubblico, fanno teatro continuamente. E’ una forma di teatralità endemica che ognuno di noi possiede nella propria infanzia – prosegue – Sono attori perfetti senza farlo apposta”.
Anche ne ‘Il Babysitter’ viene coinvolto il pubblico giocando, come quando una bambina chiede a Ruffini se ha figli e si cerca una spettatrice per farne uno: secondo la piccola interprete, infatti, è possibile raggiungere l’obbiettivo tenendosi per mano e pronunciando insieme il nome del bambino che verrà. “Nella mia forma di teatralità c’è più improvvisazione, io non sono capace nemmeno di raccontare una barzelletta, non sono un comico. So improvvisare – commenta Ruffini – Non diversifico il palco dalla realtà, la comicità è una derivazione”.
In ‘Din Don Down’, invece, il coinvolgimento del pubblico è basato sulla capacità di riuscire a districare l’odio social nella realtà, “perciò mi faccio insultare dal pubblico – racconta – e poi chiedo di insultare altre persone e categorie. Ne consegue spesso un’indignazione per l’insulto subito da qualcuno che non conosciamo nemmeno, di cui non ci importa assolutamente nulla”.
“La vita merita di più delle nostre banalità”
Attore, conduttore televisivo e radiofonico, regista, sceneggiatore e produttore teatrale. Paolo Ruffini, è un artista a tutto tondo, con uno sguardo sensibile e profondo sulla contemporaneità, e confessa di non preferire un ruolo in particolare: “Io mi sento a mio agio con le scarpe su un set cinematografico o televisivo, o su un palcoscenico, mi annoia il pavimento – afferma – perché lì si consumano atroci banalità, e la vita si merita molto di più delle nostre banalità. Meno male che c’è l’arte, – conclude Ruffini, sottolineando – scorretta”.
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