Washington (Usa), 16 nov. (LaPresse/AP) – Da venerdì primo gennaio sugli statunitensi potrebbe abbattersi in automatico la mannaia di un maxi-combinato di tagli alla spesa pubblica e aumenti di tasse per oltre 600 miliardi di dollari, se democratici e repubblicani non trovassero un accordo al Congresso sul bilancio del Paese.
COS’È IL FISCAL CLIFF?
TAGLI ALLA SPESA. Si tratta, appunto, di un insieme di tagli alla spesa pubblica che scatta insieme con la scadenza di riduzioni fiscali, programmato per attivarsi il prossimo primo gennaio. A meno che il Congresso non raggiunga un accordo bipartisan, automaticamente scatteranno 85 miliardi di dollari di riduzioni alla spesa federale, di cui 32 miliardi di fondi destinati alla difesa e 53 miliardi di tagli lineari a istruzione, sanità, forze dell’ordine e altri programmi sociali. Il fiscal cliff è stato deciso lo scorso anno a seguito di un accordo tra democratici e repubblicani, anche se nessuno si augura che scatti effettivamente. Infatti, se i repubblicani vogliono evitare i tagli al bilancio del Pentagono, i democratici vogliono aggirare quelli che si abbatterebbero sulla spesa sociale. Il precipizio fiscale è stato studiato e istituito per porre fine a una disputa sul deficit e il debito statunitensi dimostrando che il Paese non sarebbe comunque finito in default. Il fiscal cliff, inoltre, è un incentivo al Congresso per agire aggredendo il debito federale.
AUMENTI DI TASSE. Oltre ai tagli alla spesa, alla fine di quest’anno scade lo sconto sulle tasse sul reddito voluta dall’ex presidente Usa, George W. Bush, per il periodo 2001-2009. L’attuale inquilino democratico della Casa Bianca, Barack Obama, aveva deciso di prorogare il provvedimento, ma adesso vorrebbe mantenere le aliquote sul reddito ridotte tranne che per gli statunitensi più ricchi. I repubblicani si oppongono a un innalzamento delle tasse per tutte le fasce di reddito. Il primo gennaio scade inoltre la riduzione del 2% delle tasse sui salari che gli americani pagano alla previdenza federale, un’agevolazione temporanea che era stata decisa per dare fiato alle imprese e aumentare il netto in busta dei sussidi di disoccupazione.
COMBINATO. Tutto insieme il ‘fiscal cliff’ peserebbe per 671 miliardi di dollari sull’economia statunitense nel 2013.
QUALI CONSEGUENZE SE NON SI INTERVIENE?
Se il precipizio fiscale scattasse gli Stati Uniti otterrebbero un taglio considerevole al proprio deficit federale di 1,1 trilioni di dollari. Tuttavia il reddito degli americani si restringerebbe a tal punto da devastare la fragile economia del Paese, uscita a fatica da una fase recessiva. Secondo la commissione bipartisan del Budget Office del Congresso, l’economia tornerebbe in recessione e la disoccupazione schizzerebbe al picco del 9%. Per le famiglie della classe media non solo si avrebbe una contrazione del reddito che frenerebbe i consumi, ma aumenterebbero le spese per far studiare i figli e per l’assistenza sanitaria. Gli Stati Uniti sono ancora la più grande economia globale e rischiano di causare gravi ripercussioni nel resto del mondo.
COME SI SVILUPPA IL DIBATTITO POLITICO?
Una risoluzione del nodo ‘fiscal cliff’ deve arrivare da un accordo tra Obama e il Congresso in uscita, che rimane in carica, nonostante le elezioni, fino al giuramento che dà il via alla prossima legislatura all’inizio del nuovo anno. Il principale antagonista del presidente Usa, appena riconfermato, è lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, che rimane inflessibile sul mantenimento di basse aliquote fiscali e chiede di agire con un inasprimento dei tagli alla spesa pubblica. Alle spalle di Boehner c’è anche la spinta del movimento repubblicano, minoritario ma rumoroso, del Tea party, che fa della lotta contro la tassazione federale la propria ragione politica. Obama, invece, è stato accusato di voler liquidare troppo velocemente le posizioni dei repubblicani, che sono contrari a un inasprimento fiscale per gli statunitensi che guadagnano più di 250 mila dollari, come invece vorrebbe il presidente.