Pechino (Cina), 29 mar. (LaPresse/AP) – Le aziende straniere in Cina chiedono alla nuova leadership nel Paese di accelerare nei suoi impegni di ridurre la burocrazia e di rimuovere le barriere agli investimenti esteri. E’ quanto emerge da un sondaggio su 325 imprese, di cui solo il 28% vede dei miglioramenti da quando è premier Li Keqiang. L’anno scorso era stato il 43% delle aziende a ritenere che dall’economia cinese stessero arrivando segnali di apertura. Il 78% di loro vede ancora con ottimismo al futuro del business in Cina, anche se solo il 18% ha programmato investimenti nei prossimi 12 mesi, un terzo in meno rispetto a un anno fa.

Un’altra preoccupazione che emerge dalle imprese straniere nel colosso asiatico è l’aumento dei costi delle manodopera, che ha registrato un incremento in doppia cifra. Il presidente della Camera di commercio Usa in Cina, Christian Murck, ha sottolineato che urge un’azione reale del governo cinese per aprire l’economia all’impresa privata estera. “In generale – ha spiegato Murck – è un momento pieno di speranza nonostante le sfide. C’è una nuova leadership e un’economia che procede abbastanza bene. Sentiamo tutti che il governo cinese ha una conoscenza molto approfondita dei problemi e siamo fiduciosi che inizierà a estendere l’azione sulle problematicità che persistono”. Le imprese ascoltate dal sondaggio ritengono per il 72% che le norme su brevetti e copyright stiano tuttavia peggiorando. Il 47% vede invece qualche miglioramento sulle regole per la proprietà intellettuale negli ultimi cinque anni. La rigorosa censura su internet del governo cinese rappresenta per le aziende un forte ostacolo agli affari, mentre quasi i tre quarti delle imprese giudicano il proprio accesso al web instabile o nocivo per la propria attività. Interpellato sui risultati dell’inchiesta, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hong Lei, ha ribadito che le accuse di attacchi hacker portate frequentemente contro Pechino hanno una connotazione politica. “Accusare la Cina senza indagini o prove – ha sottolineato il funzionario – è un comportamento assolutamente irresponsabile”. L’indagine non si è occupata dei problemi di inquinamento, anche se Murck ha ammesso che l’aria di Pechino è un fattore che scoraggia alcuni investitori a prendere posizioni nella capitale cinese.

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