Milano, 15 lug. (LaPresse) – Negli ultimi 20 anni la spesa corrente delle amministrazioni centrali (Stato e altri enti) è cresciuta del 53%. La spesa di regioni, province e comuni del 126% e quella degli enti previdenziali del 127%: il risultato è che la spesa pubblica complessiva è raddoppiata. E’ Per fronteggiare questa dinamica si è assistito ad una esplosione del gettito derivante dalle imposte (dirette e indirette) a livello locale con un aumento del 500% a cui si è associato il sostanziale raddoppio a livello centrale. E’ quanto emerge da un’analisi di Confcommercio realizzata in collaborazione con il Cer – Centro Europa Ricerche.

Inoltre, sempre secondo Concommercio, nell’ultimo decennio, risulta quasi triplicata l’incidenza delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef; rilevante, infine, la differenziazione delle singole regioni in base all’incidenza dalla tassazione locale: l’aliquota Irap per un’impresa della Campania è quasi il doppio di quella che deve pagare un’impresa di Bolzano. Insomma, uno degli obiettivi principali del federalismo fiscale, quello, cioè, di mantenere inalterata la pressione fiscale a carico dei contribuenti, è stato del tutto disatteso rendendo, pertanto, sempre più necessario un maggiore coordinamento fra le politiche tributarie attuate ai diversi livelli di governo.

Per quanto riguarda le spese, tra il 1992, quando sono stati avviati i primi decreti sul decentramento amministrativo, e il 2012, le uscite primarie correnti delle amministrazioni locali sono salite da 90,5 a 205 miliardi con una variazione cumulata del 126%. Nello stesso periodo la spesa delle amministrazioni centrali è passata da 225 a 343,5 miliardi, con un incremento del 53%. Nel complesso la spesa corrente delle Amministrazioni Pubbliche, inclusiva anche delle spese sostenute dagli enti di previdenza, è passata da 413 miliardi a 753 con un aumento dell’82,5% nonostante l’apporto negativo fornito dalla spesa per interessi (-12% pari a circa 12 miliardi). Il processo di decentramento non sembra aver quindi portato a risparmi di spesa, ossia ad un efficientamento della macchina amministrativa. A fronte dell’aumento della spesa sostenuta a livello locale i trasferimenti provenienti dalle amministrazioni centrali sono aumentati in misura molto contenuta passando da 72 a 86 miliardi di euro, +20% in 20 anni. In considerazione dei descritti andamenti della spesa, non sorprende che le imposte a livello centrale siano aumentate del 95% (da 186 a 362 miliardi) mente quelle riconducibili alle amministrazioni locali siano cresciute da 18 a 108 miliardi, con un eccezionale incremento di oltre il 500%. Infine, nell’ultimo decennio, risulta quasi triplicato il peso delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef complessiva gravante sui salari: dal 4,2% all’11,2% nel caso del lavoratore “single”; dal 5,8% al 17,1% nel caso del “coniugato”. Nel complesso, secondo Confcommercio “l’analisi mostra come l’auspicata riduzione della pressione fiscale non possa prescindere da una diversa attuazione del federalismo, che interrompa la duplicazione di funzioni e impedisca la sovrapposizione fra tassazione locale e centrale. Oltre che per il loro impatto quantitativo, le imposte locali si segnalano per il forte aumento del grado di frammentazione apportato al sistema fiscale. Il territorio italiano è ormai fortemente segmentato a causa del diverso peso assunto dai tributi prelevati dagli enti decentrati. La differenza di pressione fiscale fra il territorio dove minore è l’incidenza delle aliquote locali (provincia di Bolzano) e quelli dove è maggiore (Campania e Molise) è molto rilevante. Così come consistente è la differenziazione delle singole regioni in base al rilievo assunto dalla tassazione locale per imprese e famiglie”.

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