Rho (Milano), 4 gen. (LaPresse) – Per il 2012, il complesso delle imposte pagate dalle imprese italiane è il 16esimo più elevato al mondo: pari al 65,8% degli utili. E soprattutto è il più elevato tra i più importanti paesi avanzati, seguito dalla Francia (64,7%) e, a distanza, dalla Spagna (58,6%). Lo rende noto in un documento diffuso oggi il Centro studi di Confindustria. Questi numeri sono calcolati supponendo che l’impresa rispetti la normativa fiscale del suo paese quindi confrontano il carico fiscale e contributivo di imprese che effettivamente assolvono ai propri obblighi fiscali.
“Il livello, la composizione e la complessità della tassazione italiana creano un contesto sfavorevole all’attività d’impresa. La comparazione europea del livello di tassazione sul reddito aziendale e sul lavoro evidenzia un ampio divario, che si traduce in minore competitività e minore attrattività del Paese per gli investimenti, non solo dall’estero” spiega nel suo intervento ‘Il fisco gioca contro Evasione, pressione fiscale e normativa complessa spiazzano la competitività italiana’ il curatore Alessandro Fontana. “Il divario riguarda tutte le imposte che incidono sull’attività di impresa, ma in modo particolare quelle sul lavoro. Al contrario i consumi sono meno tassati che negli altri paesi europei. Un riequilibrio appare necessario per trasferire parte del carico fiscale sui beni e servizi importati, ridurre gli oneri delle aziende italiane e aumentare le retribuzioni nette – prosegue Fontana- se si tiene conto dell’evasione, la pressione fiscale e contributiva a carico delle imprese rispettose degli obblighi verso l’Erario, e maggiormente presenti sui mercati internazionali, è molto superiore a quel che raccontano le statistiche ufficiali. L’industria in senso stretto e il settore del credito, mediamente, presentano livelli minimi di evasione”.
Gli spazi per ridurre il carico fiscale devono essere individuati nella revisione della spesa pubblica e nella lotta all’evasione fiscale e contributiva, “anche il modo in cui viene effettuato il prelievo penalizza il fare impresa in Italia, con normative che sono molto più complesse che negli altri Paesi e che assorbono risorse e che lasciano un alea di incertezza”, conclude Fontana.
Stando ai dati resi noti dal centro studi, la tassazione dei redditi d’impresa in Italia è superiore alla media dell’Eurozona e dell’UE-27. L’onere fiscale gravante sui profitti, nel 2011, è stato pari al 2,8% del PIL contro una media di 2,5% nell’Eurozona e di 2,6% nell’UE-27. Per l’Italia il gettito include, oltre all’IRES, anche l’IRAP sul valore aggiunto al netto del costo del lavoro (escludendo per quest’ultima la parte pagata dai lavoratori autonomi). Tra i quattro più importanti partner europei, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, solo il Regno Unito ha registrato un’incidenza del gettito sul PIL superiore a quella dell’Italia: 3,1%. L’aliquota implicita italiana è stata pari al 24,8%, inferiore, tra i paesi euro, solo a quelle di Portogallo (36,1%), Francia e Cipro (26,9%).
Dal 1995 al 2011 l’Italia ha visto crescere in misura maggiore l’aliquota implicita. L’incidenza del prelievo fiscale e contributivo sui redditi da lavoro, misurata con l’aliquota implicita, è stata in Italia seconda solo al Belgio, tra i paesi euro: 42,3% nel 2011 contro il 42,8% del Belgio, il 37,7% dell’Eurozona e il 35,8% della media dei 27 paesi dell’Unione. I più importanti partner europei hanno registrato valori molto inferiori all’Italia: Francia 38,8%, Germania 37,1%, Spagna 33,2%, Regno Unito 26,0%. In Italia ai contributi sociali più elevati che altrove e legati all’ingente spesa pensionistica, si aggiunge a carico delle imprese anche la quota di IRAP calcolata sul costo del lavoro. Ciò determina un onere per le imprese che, nel 2011, è stato pari al 10,7% del PIL, inferiore solo a quello registrato in Francia (12,9%) ed Estonia (11,2%).
Il livello dell’imposizione sul lavoro in Italia da metà degli anni ’90 si è innalzato in modo netto al di sopra di quello dei principali partner europei (Grafico A), aprendo così un divario sostanziale, in termini di costo del lavoro, che ha effetti negativi sulla competitività delle imprese. Con l’insorgere della crisi, l’aliquota implicita sul lavoro è cresciuta ancora, toccando il picco del 42,9% nel 2008, per poi tornare nel 2011 al livello del 2007. Negli altri principali paesi europei e in media nell’Eurozona, nel 2011 l’aliquota implicita era invece a un livello inferiore a quello registrato nel 2007. Ciò significa che il divario tra l’Italia e gli altri paesi, con la crisi, si è ampliato, seppure le tendenze più recenti sembrino indicare una convergenza. Livelli elevati di imposizione riguardano anche altri fattori produttivi; in particolare, l’energia. Anche la tassazione delle proprietà immobiliari, con l’IMU, ha raggiunto e superato nel 2012 la media dei paesi dell’Eurozona e dell’Unione: il gettito derivante dalle imposte ricorrenti sulle proprietà è stato pari in Italia all’1,5% del PIL; nella media dell’Eurozona l’anno prima era allo 0,9% del PIL e nell’Unione europea, nello stesso anno, all’1,32%.
Se per il 2013 è stato sospeso il pagamento dell’Imu su abitazione principale e terreni agricoli, così non è stato per le altre tipologie di immobili. Anche la tassazione delle proprietà immobiliari, con l’IMU, ha raggiunto e superato nel 2012 la media dei paesi dell’Eurozona e dell’Unione: il gettito derivante dalle imposte ricorrenti sulle proprietà è stato pari in Italia all’1,5% del PIL; nella media dell’Eurozona l’anno prima era allo 0,9% del PIL e nell’Unione europea, nello stesso anno, all’1,3%. Se per il 2013 è stato sospeso il pagamento dell’IMU su abitazione principale e terreni agricoli, così non è stato per le altre tipologie di immobili, soprattutto quelli legati all’attività d’impresa. “Perciò occorre intervenire urgentemente per semplificare la normativa e alleggerire il carico di adempimenti, che si aggiunge a quello della pressione fiscale nel penalizzare la competitività delle imprese che operano in Italia”, conclude Fontana.
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