Mestre, 22 ago. (LaPresse) – Secondo l’Ufficio studi della Cgia, le imposte, le tasse e i tributi che versiamo allo Stato centrale sono tre volte superiori a quelle che paghiamo a Regioni ed enti locali. “Nel 2014, ad esempio, all’erario sono confluiti 379,7 miliardi, nelle casse dei governatori e dei sindaci, invece, sono stati versati solo, si fa per dire, 106,1 miliardi di euro”, fa sapere la Cgia di Mestre.
Sul totale delle entrate tributarie incassate dalle Amministrazioni centrali, fa sapere sempre la Cgia, il 60 per cento circa è riconducibile all’Irpef (161,4 miliardi), all’Iva (97,1 miliardi) e all’Ires (31 miliardi). A livello locale, invece, le imposte più pesanti sono l’Irap (30,4 miliardi di gettito), l’Imu/Tasi (21,1 miliardi), l’addizionale regionale Irpef (10,9 miliardi) e l’addizionale comunale Irpef (4,4 miliardi).
Su un totale di 485,8 miliardi di entrate tributarie percepite l’anno scorso dal fisco, il 78 per cento circa è finito nelle casse dello Stato centrale e solo il 22 per cento circa agli enti locali.
“Nell’immaginario collettivo – esordisce Paolo Zabeo della Cgia – si è diffusa l’idea che in questi ultimi anni governatori e sindaci sarebbero diventati dei nuovi gabellieri, mentre lo Stato centrale avrebbe alleggerito la pressione fiscale nei confronti dei contribuenti. In realtà, le cose non sono andate proprio così. Se è vero che negli ultimi 15 anni le tasse locali sono aumentate del 48,4 per cento, quelle in capo alle Amministrazioni centrali sono cresciute del 36,1 per cento. Un po’ meno, ma non di molto. In termini assoluti, dalle Regioni e dagli enti locali abbiamo subito un aggravio fiscale di 34,6 miliardi di euro, mentre il peso del fisco nazionale è aumentato di ben 100,7 miliardi. Insomma, se dal 2000 le imposte locali hanno cominciato a correre, quelle erariali hanno registrato in valore assoluto un’espansione molto più vigorosa, con il risultato che le famiglie e le imprese, loro malgrado, sono state costrette a pagare sempre di più”.
E’ comunque doveroso sottolineare che enti locali e Regioni hanno aumentato i tributi in misura superiore ai tagli praticati dal centro.
Un confronto diretto tra la dinamica dei tributi locali e l’andamento dei trasferimenti risulta non del tutto agevole, anche in ragione dell’ampiezza dell’arco temporale considerato (dal 2000 ad oggi).
In questo periodo, evidenzia l’Ufficio studi della CGIA, sono state introdotte numerose modifiche normative che hanno avuto degli impatti significativi sui rapporti finanziari tra Stato ed Amministrazioni locali. Ad esempio, il finanziamento della sanità in capo anche alle Regioni (con il Decreto legislativo n. 56/2000), l’aumento “obbligatorio” dell’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF dello 0,33 per cento (disposto dal decreto Salva Italia di fine 2011) e il taglio ai trasferimenti di Regioni ed enti locali a seguito delle manovre correttive di finanza pubblica.
“In ogni caso – conclude Zabeo – in questi ultimi anni i trasferimenti correnti statali a beneficio di Regioni ed enti locali sono passati dai 53 miliardi di euro nel 2000 ai 35 miliardi nel 2013[1], ultimo anno disponibile, con una flessione del 35 per cento, pari a 18 miliardi di euro. Sempre nello stesso periodo, le entrate tributarie a livello locale sono cresciute di 32,6 miliardi. Un importo, quest’ultimo, nettamente superiore ai 18 miliardi di tagli subiti.”
Tuttavia, è negli ultimi sette anni che si registra un vero e proprio crollo dei trasferimenti. Lo ha fatto notare recentemente anche la Corte dei Conti: tra il 2008 e il 2015 le manovre finanziarie hanno disposto “22 miliardi di tagli nei trasferimenti provenienti dallo Stato (di cui circa 10 miliardi a carico delle Regioni e i restanti 12 miliardi ad appannaggio degli enti locali), cui vanno aggiunti i tagli al finanziamento del fabbisogno del sistema sanitario gestito dalle Regioni per complessivi 17,5 miliardi”.
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