Il bilancio economico dell'anno passato. Alla fine del 2021 l'inflazione in doppia cifra era inimmaginabile
Nell’ultimo decennio l’inflazione sembrava scomparsa e aveva abituato risparmiatori, investitori e banche a uno scenario di tassi negativi. Alla fine del 2022 l’inflazione è tornata, dirompente, e ha raggiunto livelli su base annua che ricordano le fiammate degli anni Settanta, spingendo la Federal Reserve a un inasprimento robusto della politica monetaria. Prima di ricostruire la corsa alla stretta che vede coinvolte Fed, Banca Centrale Europea e Bank of England in prima fila, alle prese con gli effetti dei rincari energetici aggravati dall’invasione russa dell’Ucraina, un cenno alla conclusione del 2021, quando l’inflazione a doppia cifra era ancora difficilmente immaginabile.
FED
Dopo aver raggiunto un livello minimo dello 0,6% su base annua negli Stati Uniti a giugno 2020, nel cuore della pandemia, la macchina dell’inflazione oltreoceano si è rimessa in moto, raggiungendo il 2,6% a marzo 2021 e il 4,2% il mese dopo. Un anno fa a dicembre, il tasso dell’indice dei prezzi al consumo usato per misurarla era già balzato al 7%. La Federal Reserve decise allora di mantenere il livello di riferimento per i suoi Fed Funds tra lo 0 e lo 0,25%, ma annunciò che avrebbe velocizzato il ritmo di riduzione del proprio bilancio, il cosiddetto tapering. Solo a novembre aveva descritto l’inflazione come ‘transitoria’, ma avrebbe poi rivisto la posizione, che aveva provocato una pioggia di critiche su Jerome Powell. La prima svolta restrittiva è arrivata a marzo, con il primo di sette rialzi dei tassi di riferimento della Fed, uno per ogni meeting della Federal Open Market Committee. Alla riunione di aprile il rialzo è raddoppiato a 50 punti, ed era atteso come il precedente. Lo scossone c’è stato a giugno, quando Powell e soci hanno votato 10 a 1 per un rialzo da 75 punti base, portando il range dei Fed Funds a 1,50%-1,75%. La corsa dell’inflazione Usa ha raggiunto il 9,1% su base annua del Cpi, spingendo i banchieri centrali a votare all’unanimità per altri tre rialzi da 75 punti base. Dopo il picco di giugno l’inflazione è lentamente scivolata verso il 7,1% annuo di novembre, il che ha spinto i mercati a ipotizzare un lieve allentamento della morsa, verificatosi con un ultimo rialzo da 50 punti base al meeting di dicembre. Nel giro di un anno, dunque, il salto è stato dallo 0 al 4,25%, 425 punti base. Come nelle occasioni precedenti, la reazione dei mercati alle mosse della Fed si è basata sulle aspettative future che stimano una recessione per il 2023. Nell’ultimo Summary of Economic Projections della banca centrale a stelle e strisce la previsione mediana dei tassi per il 2023 passa dal 4,6% al 5,1% di dicembre, mentre per il 2024% aumenta al 4,1% a dicembre dal 3,9% di settembre. Nonostante questa revisione al rialzo sulla destinazione dei tassi, il Pil degli Stati Uniti dovrebbe crescere dello 0,5% nel 2023, una previsione notevolmente al ribasso rispetto a quanto la Federal Reserve stimava a settembre (+1,2%). Nel 2023 il Pil dovrebbe vedere un incremento dell’1,6%, solo lo 0,1% in meno rispetto alla precedente previsione. Sul fronte dell’inflazione, l’indicatore Pce (Personal consumption expenditures) passa al 5,6% nel 2023 dopo la previsione del 5,4% di settembre. Il dato del 2023 aumenta al 3,1% dal 2,8% previsto a settembre, mentre rallenterà al 2,5% nel 2024, pur dello 0,2% più in alto di quanto previsto tre mesi fa.
La Fed ha infatti chiuso l’anno vedendo una crescita modesta della spesa e della produzione negli ultimi mesi, con una crescita dei posti di lavoro ‘robusta’ e un tasso di disoccupazione ‘rimasto basso’. Rimane invece elevata l’inflazione, ‘a causa degli squilibri della domanda e dell’offerta legati alla pandemia, all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e a pressioni più ampie sui prezzi’. Powell ha poi preannunciato che c’è ‘altro lavoro da fare’, e che la Fed non è ‘ancora arrivata a una posizione di policy sufficientemente restrittiva, ed è per questo che diciamo che ci aspetteremo che i continui rialzi saranno appropriati’. Nel 2023 ci sarà dunque da valutare se le mosse restrittive della Fed saranno in grado di permettere ‘un atterraggio morbido’ con un rallentamento dell’inflazione che non scateni una recessione, ma permetta anzi la crescita stimata.
BCE
Durante la prima metà del 2022 la Banca centrale europea ha fatto sapere di essere in un punto diverso del percorso di ritiro dell’accomodamento nella politica monetaria. Il primo movimento c’è stato con il meeting del 9 giugno, quando l’istituzione presieduta da Christine Lagarde ha annunciato l’avvio della normalizzazione della politica monetaria, con il progressivo ritiro del ‘quantitative easing’ che aveva contrassegnato il mandato di Mario Draghi. A partire da luglio si sarebbe arrestato il piano App di acquisto netto di titoli sovrani, dopo che l’Eurotower aveva sospeso già a marzo gli acquisti del Pepp, il piano di acquisto di emergenza pandemica, limitando le operazioni ai reinvestimenti fino al 2024 per stabilizzare la ‘trasmissione’ della politica monetaria, ovvero il contenimento degli spread tra i titoli di Stato dei paesi della zona Euro. La Bce ha così cominciato a tornare al suo mandato originale di mantenimento della stabilità dei prezzi: un prodromo del ritorno alla lotta all’inflazione dopo anni di tassi zero e tassi negativi.
Se a marzo la previsione del primo rialzo dei tassi previsto per luglio era di 25 punti base, la corsa dell’inflazione ha spinto il consiglio direttivo della Bce ad adottare una stretta da 50 punti, la prima dopo undici anni. L’andamento dell’indice dei prezzi al consumo nella zona euro è passato da un aumento del 5,1% su base annua a gennaio fino a raggiungere il +8,6% a giugno, segnando una corsa del rialzo dei prezzi che ha spinto i falchi a raddoppiare l’aumento previsto di 25 punti, che era stato assicurato più volte in precedenza. L’altra grande novità è stata la presentazione del Transmission Protection Instrument (Tpi), uno strumento che ha lo scopo di stabilizzare l’andamento degli spread più soggetti a volatilità, come quello italiano, sottoposto a crescenti pressioni alla fine di luglio in seguito alla convocazione di nuove elezioni. La Bce ha inoltre rinunciato all’applicazione della forward guidance, ossia la definizione di un percorso di possibili mosse future che la banca centrale avrebbe adottato per indirizzare la politica monetaria. Il ritorno di un’inflazione oltre le aspettative ha spinto il consiglio direttivo ad adottare un approccio ‘meeting by meeting’, in cui si decide di navigare ‘a vista’ sulla base dei dati disponibili.
A settembre il rialzo dei tassi deciso a Francoforte è stato di 75 punti base, segno che l’inasprimento della stretta monetaria sarebbe andato incontro a un’ulteriore accelerazione, dopo che l’inflazione ha raggiunto il 9,1% su base annua nell’Eurozona ad agosto. Inoltre, la Bce ha pubblicato le proprie decisioni rilevando un ‘sostanziale rallentamento della crescita economica’ nella zona euro dopo un rimbalzo nella prima metà dell’anno, ‘con una previsione di stagnazione dell’economia nel corso dell’anno e nel primo trimestre del 2023’. Alla fine di ottobre i tassi di riferimento hanno subito un altro rialzo da 75 punti base, meno sorprendente del precedente. L’altro annuncio ha visto una modifica alle operazioni di rifinanziamento bancario Tltro, con l’indicizzazione delle operazioni Tltro III alla media dei tassi di riferimento della Bce, così da spingere le banche europee a rimborsare anticipatamente i prestiti, per dare impulso alla stretta monetaria dell’Eurotower. Nell’ultimo meeting dell’anno il rialzo è stato di 50 punti, segno che l’accelerazione sulla stretta poteva essere almeno in parte moderata per via del rallentamento della corsa dei prezzi, e per evitare di incrementare i rischi recessivi. Lagarde ha però fatto intendere che la Bce nel 2023 adotterà ulteriori rialzi dei tassi, una mossa da falco che ha depresso tutti i listini europei dopo le dichiarazioni di Powell nella stessa settimana. Subito prima delle vacanze di Natale, Christine Lagarde ha poi promesso in un videomessaggio di auguri che la Bce farà ‘tutto il possibile per abbassare’ l’inflazione. Ha sottolineato che ‘stiamo rialzando i tassi d’interesse e li rialzeremo ulteriormente, a un ritmo sostenuto, fino a quando raggiungeranno un livello utile a riportare l’inflazione al nostro obiettivo di medio periodo del 2%. E ci riusciremo’.
BOE
La Bank of England si è mosso in un percorso più simile a quello della Federal Reserve, dando inizio al rialzo dei tassi con un incremento di 15 punti base a dicembre 2021, passando dallo 0,1% del tasso di riferimento allo 0,25%, a cui hanno fatto seguito altri quattro rialzi, da 25 punti base ciascuno, fino all’1,25%. Tra agosto e settembre il ritmo si è fatto più intenso con due rialzi da 50 punti base, per poi accelerare ulteriormente a 75 punti base a novembre, fino a concludere l’anno con un ultimo rialzo da 50 punti a dicembre, che ha portato il Bank Rate al 3,5%, un livello che non si vedeva dalla fine del 2008. Nella seconda metà dell’anno la Boe ha dovuto inoltre fare i conti con una crisi di volatilità della sterlina, innescata da una proposte del governo di Liz Truss di avviare una riforma fiscale a vantaggio dei ceti più alti che prevedeva un taglio delle tasse a debito.
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