Tito Boeri: "Positivo che partiti che sin qui si erano opposti abbiano cambiato idea, sbagliato che venga stabilito a priori che deve essere a 9 euro"
Oltre 200mila firme per il salario minimo, è l’annuncio entusiasta delle opposizioni. Fra gli addetti ai lavori c’è chi nutre dubbi. “Positivo che partiti che sin qui si erano opposti abbiano cambiato idea, sbagliato che venga stabilito a priori che deve essere a 9 euro” dice a LaPresse l’economista ed ex presidente dell’Inps Tito Boeri. Scettico Giuliano Cazzola, ex sindacalista, dirigente del Ministero del Lavoro e parlamentare, che fa un paragone con “il progetto demenziale di riforma del lavoro” su cui la Cgil raccolse 3 milioni di firme in contrapposizione al Jobs Act.
A tenere banco però sono i casi di caporalato per i bassi salari definiti da più tribunali “incostituzionali” e “sotto la soglia di povertà”: saranno ancora una volta le toghe a dover riempire il vuoto delle riforme in Parlamento? “È chiaro che la via giudiziaria non può essere la soluzione generale, ma solo, di volta in volta, quella particolare”, dice la sociologa Chiara Saraceno. “Ma è un modo di “porre sul tavolo il problema – aggiunge la studiosa – che invece viene adesso negato da Confindustria e governanti e ignorato dai sindacati”.
La vicenda Mondialpol – ultima di una lunga serie di casi analoghi con inchieste penali per sfruttamento (Esselunga, Securitalia, Brt e altre) – a cui la Procura di Milano ha revocato l’amministrazione giudiziaria dopo la scelta di aumentare i salari degli addetti alla vigilanza non armata del 20% da settembre e del 38% nel 2026, fa discutere. “Non può essere la magistratura ad affrontare un tema di questo tipo” perché “interviene a macchia di leopardo, rischia di avere effetti distorsivi sulla concorrenza e perché i lavoratori più svantaggiati, come donne e immigrati, non possono rivolgersi a un giudice ogni volta che hanno un problema” è la posizione di Boeri.
Per il docente dell’Università Bocconi quello dei vigilantes “costretti ad accettare paghe da fame” è il caso-scuola “in cui secondo la teoria economica non solo il Salario minimo può migliorare le condizioni di chi già lavora ma addirittura aumentare l’occupazione”. A patto che l’asticella copra “tutti i lavoratori” e sia fissata con criterio. Nove euro? “Scelta politica” le cui “basi non le sa nessuno” la bolla Boeri. E auspica che proprio il Cnel guidato da Renato Brunetta e chiamato a mediare da Palazzo Chigi sul dossier “metta insieme le banche dati” per “stabilire un livello appropriato”.
L’assist di Giorgia Meloni al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro “è stata una mossa abile” e “conferisce all’operazione un carattere di ‘neutralità'” che “rimette in gioco le parti sociali escluse e rimaste in tribuna a fare il tifo per i partiti in campo”, il giudizio di Cazzola, tra i massimi esperti di lavoro e previdenza in Italia. “Brunetta lavorerà per portare a termine una proposta sul lavoro povero facendo leva su un ventaglio di misure ben oltre il solo Salario minimo”, la sua previsione. L’ex sindacalista 82enne è durissimo invece sull’intervento della magistratura: “I giudici si sono arrogati l’arbitrio di decidere se quanto previsto dai contratti corrispondesse ai criteri costituzionali. Immagino che questo abuso sarà salutato come un fatto positivo, da chi non è più in grado di fare il proprio mestiere, come i sindacati”. “Siamo tornati all’ordinamento fascista del lavoro – aggiunge – quando la magistratura del settore, in caso di mancato accordo tra le parti, decideva”. Diversa l’opinione di Chiara Saraceno. “È uno dei tanti casi in cui la magistratura è costretta ad operare in supplenza di un Parlamento che non decide e di soggetti che dovrebbero controllare ma non lo fanno”.
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