Nel 2020 si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%. In Italia lavoratori sempre più anziani

Tra il 1991 e il 2022 i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5%. È quanto emerge dal Rapporto Inapp 2023 presentato alla Camera dei Deputati da Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche). In particolare, nel solo 2020 (terzo nell’anno della pandemia da Covid-19) si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%.

In Italia lavoratori sempre più anziani 

L’invecchiamento della popolazione in Italia va di pari passo con quello forza lavoro. Mentre nel 2002 ogni 1.000 persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 aventi 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani. Il settore che di gran lunga ha i lavoratori più anziani è quello della pubblica amministrazione (3,9 lavoratori anziani ogni lavoratore giovane), seguito dal settore finanziario e assicurativo. È quanto emerge dal Rapporto Inapp 2023 presentato alla Camera dei Deputati da Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche). 

3,3 mln persone pensano di lasciare posto lavoro

Appare rilevante il numero di occupati che mostrano l’intenzione di lasciare il proprio lavoro. Si stima che il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni (oltre 3,3 milioni di persone) abbia pensato di dimettersi”. È quanto emerge dal Rapporto Inapp 2023 presentato alla Camera dei Deputati da Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche). Tale quota è composta da un 1,1% che lo farebbe anche se ci fosse una riduzione del tenore di vita e da un 13,5% che farebbe questa scelta solo se trovasse altre entrate economiche. Le quote più alte di chi ha intenzione di dimettersi, a prescindere dalla motivazione, si osservano in corrispondenza degli occupati con un diploma (18,9%), diminuiscono col crescere dell’anzianità anagrafica e delle dimensioni del comune di residenza. A volersi dimettere sono maggiormente gli occupati dipendenti, operanti nelle organizzazioni di media dimensione (15-49 addetti) e che svolgono la loro attività in imprese private. Nel pubblico l’1,5% dei lavoratori (contro l’1% del privato) lo farebbe anche se questo comportasse una riduzione del tenore di vita. Il desiderio di cambiare occupazione è maggiore per chi svolge lavori più faticosi e poco soddisfacenti. 

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