Turismo, l’economista: “In Salento da solo non crea crescita”

Gugliemo Forges Davanzati a LaPresse: "Solo con industria si può trainare economia nel lungo periodo"

E’ tempo di sfatare qualche mito, come quello dello sviluppo economico trainato dal turismo, perché “la ricerca economica più rigorosa e recente conferma la tesi per la quale è l’industria – non i servizi – a trainare la crescita economica nel lungo periodo”. E’ l’analisi dell’economista Guglielmo Forges Davanzati, docente di Economia politica all’Università del Salento, interpellato da LaPresse, all’indomani dei dati ufficiali che per l’Italia parlano di un “turismo record” nel 2023, che ha raggiunto e superato i livelli pre Covid.

Forges Davanzati è autore dello studio ‘I limiti dello sviluppo turistico nel Mezzogiorno: il caso della Provincia di Lecce’, insieme a Giorgio Colacchio, Gianmarco Igino Scardino, Luigino Sergio, Domenico Suppa, in cui si sostiene che Lecce e la sua provincia “hanno accelerato, negli ultimi decenni, una specializzazione produttiva basata sul turismo”. Ma “nel Salento il turismo non produce crescita“, è ciò che emerge. Per l’economista dunque non è il turismo che traina lo sviluppo, ma “i due settori industria e turismo sono e devono essere complementari“. E questo, secondo lo studioso, vale non solo nel territorio salentino, ma in generale negli altri territori nel Paese.

Forges Davanzati spiega perché: “l’aumento degli investimenti nel manifatturiero – spiega -soprattutto se trainati dalla mano pubblica, – condizione necessaria perché il privato, in molte aree del Mezzogiorno non investe significativamente – genera incrementi di produttività e tiene alta l’occupazione. L’elevato livello di occupazione stimola gli imprenditori del settore più labour intensive a tenere alti i salari, a regolarizzare le posizioni dei dipendenti, a investire nella formazione”.

“Ecco perché – aggiunge – occorrerebbe incentivare la nascita sul territorio di una più robusta struttura industriale, dal momento che – pur in una fase mondiale di deindustrializzazione – si conferma che è l’industria il motore della crescita”. In secondo luogo, “occorre incentivare l’assunzione di personale qualificato e i corsi di formazione: le strategie delle imprese esistenti sono per lo più focalizzate sul risparmio dei costi e su una politica di prezzo predatoria con l’aumento anche notevole dei prezzi che non sconta la riduzione della domanda futura”.

In Italia e nei suoi diversi territori e comunità nel 2023 si registra un aumenta dei turisti. Ma quanto spende questo turismo? Non tutti i turisti infatti sono uguali e con uguale capacità di spesa ed esiste il ‘mordi e fuggi’. Forges Davanzati, sul fenomeno, sempre in Salento, spiega che “è stato statisticamente rilevato che gli afflussi turistici in loco costituiscono un afflusso di liquidità di breve periodo e stagionale e creano una forte dipendenza dai mercati esteri o nazionali. Ciò sia con riferimento alla volatilità dei redditi dei potenziali turisti e alla mutevolezza delle preferenze”. Inoltre “si tratta prevalentemente di un turismo povero, che solo in rare occasioni intercetta visitatori con redditi elevati”. E la ricerca argomenta con i dati. Nella provincia di Lecce – riporta – al 2022, esistevano solo 12 strutture alberghiere a 5 stelle (su un totale di 3.122 hotel), con complessivi 706 posti, a fronte di 137 alberghi a 3 stelle e di ben 10.021 stanze per questa fascia”.

Dall’analisi di Forges Davanzati emerge quindi che “il turismo locale non è legato, come, del resto, non lo è il terziario, a processi di industrializzazione. Non si tratta, dunque, di una domanda di lavoro aggiuntiva. L’ampia disponibilità in loco di forza-lavoro giovane dipende dall’elevata disoccupazione“. Per l’economista,  inoltre, il cambiamento strutturale nel Salento a seguito dell’aumento dei flussi turistici mostra “come il turismo si associ a bassa crescita economica, prevalentemente per le sole occupazioni di bassa qualifica”. E ancora: “Negli ultimi venti anni, la Puglia – e ancora più il Salento – ha accresciuto la sua dipendenza dal settore turistico più del resto del Paese”: l’incidenza del turismo nella regione, nel periodo compreso fra il 1995 e il 2017, è raddoppiata, raggiungendo il 4,2 per cento, a fronte di ciò che è accaduto nel resto d’Italia, dove la crescita del settore è stata di due terzi più bassa.

La crescita del settore turistico è avvenuta di pari passo con la “riduzione dell’incidenza dell’industria manifatturiera” nella regione, che comunque – sottolinea il docente universitario – resta la regione più industrializzata del Mezzogiorno e con “l’aumento delle diseguaglianze della distribuzione del reddito“. Il turismo quindi – evidenzia la ricerca sul Salento “contribuisce ad accrescere le diseguaglianze distributive soprattutto per il tramite della gestione dei flussi in arrivo da parte di B&B, di proprietari di strutture di accoglienza, di svago e di ristorazione di proprietà di famiglie ricche, che di turismo si arricchiscono”. Inoltre, “la crescita dell’incidenza di flussi turistici non registrati – nella forma di case e appartamenti non censiti dagli enti di controllo – con il connesso aumento dell’occupazione irregolare, delle attività sommerse e del lavoro nero”.

Dal punto sociologico, Forges Davanzati, infine, richiama l’attenzione sulla tesi sostentuta dallo storico Erik J.Hobsbawm, in un volume scritto con T. Ranger, secondo cui le “tradizioni” che ci appaiono, o si pretendono, antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta”. Si tratta dell'”invenzione della tradizione“, una modalità di comunicazione – spiega l’economista che insegna all’ateneo del Salento – che contribuisce a rafforzare la convinzione della “unicità del luogo e a ritardare, sotto il profilo culturale”, o addirittura “a rendere impossibile l’attuazione di strategie alternative di sviluppo”.