L'ex ad Eni e Telecom su ipotesi abbassare retribuzioni per dirigenti pubblici: "Scelta immagine, su spending review impatto modesto"
L’idea di abbassare il tetto massimo per gli stipendi dei manager delle imprese pubbliche “credo sia più una decisione di immagine che non effettivamente diretta a ridurre la spesa pubblica, che in questo modo non si ridurrebbe nemmeno di tanto”. Così Franco Bernabè, imprenditore e già amministratore delegato di Eni e Telecom, interpellato da LaPresse sull’ipotesi di un tetto alle retribuzioni per gli organi di vertice di partecipate o enti statali al livello dell’indennità percepita dalla premier.
Attualmente i manager pubblici non possono guadagnare più di 240mila euro all’anno, sulla base del limite introdotto dal governo Monti nel 2011, ma ora – stando a quanto annunciato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – scenderebbe a 160mila euro lordi annui.
“Già quando la prima volta fu fissato un tetto” massimo degli stipendi dei manager pubblici a 240mila euro lordi anni – prosegue Bernabè – questo “ha prodotto un allontanarsi da parte dei manager” da quegli incarichi e “una restrizione della base alla quale accede la dirigenza pubblica“.
Il tetto agli stipendi “separa nettamente il mercato del management delle imprese private da quello del management delle imprese pubbliche“. Con l’abbassamento del tetto alle retribuzioni nelle aziende pubbliche “credo che un manager di qualità che lavora per quel tipo di retribuzione lo faccia più per spirito di servizio che non perché ha una retribuzione di mercato. Poi dipende dalle responsabilità: molte di queste posizioni comportano responsabilità addirittura superiori qualche alle responsabilità dei manager privati”. Inoltre “la scelta di abbassare il tetto in termini di spending review avrebbe un impatto molto modesto” e “onestamente penso sia una decisione su cui forse vale la pena riflettere due volte prima di andare avanti”.
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