Il timore legato ai dazi Usa provoca il panico sui mercati orientali

Le azioni di Hong Kong e della Cina crollano all’apertura dei mercati di fronte a una guerra commerciale globale in espansione e ai timori che questa possa scatenare una profonda recessione. L’indice Hang Seng di Hong Kong è crollato di oltre il 10% nelle contrattazioni mattutine, il che, se sostenuto, rappresenterebbe il più grande calo giornaliero del benchmark dalla crisi finanziaria globale del 2008. I titoli bancari sono crollati: le azioni di HSBC e Standard Chartered quotate a Hong Kong sono crollate del 15%. I titoli automobilistici e tecnologici hanno subito il peso maggiore della svendita. L’indice Hang Seng Technology è sceso dell’11,15%. Il gigante della tecnologia Alibaba (09988.HK) è crollato del 12,55.

L’andamento negativo ha segnato tutta la seduta in Asia dove le chiusure sono fortemente negative. L’indice Nikkei di Tokyo lascia sul terreno il 7,83%, crollo simile a quello realizzato dalla Borsa di Shanghai, che chiude a -7,34%. Peggio ancora il Component di Shenzhen, che segna a fine seduta -9,66%.  Chiusura ai minimi dal 1997 a oggi per l’indice Hang Seng alla Borsa di Hong Kong. A fine seduta si registra un calo del 13,22%.

“Il mercato ha parlato. Adesso è il momento che gli Stati Uniti smettano di fare cose sbagliate e risolvano le divergenze con i partner commerciali attraverso consultazioni paritarie”. Così il portavoce del ministero degli Esteri cinese Guo Jiakun dopo che le ultime restrizioni statunitensi al commercio hanno fatto crollare i mercati globali. La Cina ha ricevuto una ‘tariffa reciproca’ del 34%, per un tasso cumulativo del 54% sulla maggior parte delle importazioni. Pechino ha rapidamente reagito con un’imposta generale del 34% su tutte le importazioni statunitensi e ha annunciato che avrebbe limitato le esportazioni di alcuni elementi delle terre rare, tra le altre misure. In una dichiarazione pubblicata dai media statali sabato, il governo cinese ha esortato gli Stati Uniti a “smettere di usare i dazi come arma per reprimere l’economia e il commercio della Cina” e a “smettere di minare i legittimi diritti di sviluppo del popolo cinese”.

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