Seul (Corea del Sud), 6 lug. (LaPresse/AP) – Donne in topless con i corpi e le facce dipinte si cospargono di liquido infiammabile e minacciano di darsi il fuoco. È questa l’ultima protesta estrema delle prostitute a Yeongdeungpo, quartiere a luci rosse della capitale sudcoreana Seul, che da aprile manifestano contro contro la legge anti-prostituzione, adottata sette anni fa e recentemente applicata dalla polizia con sempre più determinazione e violenza.
La prostituzione è stata vietata in Corea del Sud nel 1961, ma le forze dell’ordine sono rimaste per molti anni piuttosto indulgenti. Una normativa più restrittiva è stata invece introdotta dopo il 2002, quando 14 donne che vivevano in una casa chiusa sono morte in un incendio. Circa 259mila persone, soprattutto uomini, sono state arrestate da quando la legge è entrata in vigore nel 2004 e quasi 4mila prostitute hanno dovuto lasciare le case che occupavano. Sette dei 35 più grandi quartieri a luci rosse del Paese sono spariti. Le prostitute di Yeongdeungpo sostengono che la loro sia una lotta per la sopravvivenza.
“Mangiamo, dormiamo e viviamo qua. Dove possiamo andare?”, commenta la 36enne Jang Se-hee. La donna spiega che i suoi guadagni sono diminuiti da circa 9.200 dollari al mese a 3.700 da quando la polizia ha iniziato ad applicare la legge con più rigore, aumentando il numero di agenti e i controlli. I messaggi di sfida arrivano anche dalle finestre delle case chiuse rimaste ancora attive, da dove pendono cartelloni con le parole: “Moriremo qui, verseremo la benzina sui nostri corpi e ce ne andremo in gloria”.
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