Beirut (Libano), 6 lug. (LaPresse/AP) – Le forze di sicurezza siriane potrebbero aver commesso crimini contro l’umanità durante l’assedio della città di Talkalakh, a maggio. È quanto sostiene Amnesty International, facendo riferimento a racconti di omicidi durante la detenzione, torture e arresti arbitrari. Per questo il gruppo per i diritti umani con sede a Londra ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite di riferire sulla situazione in Siria alla Corte penale internazionale.
Il rastrellamento di Talkalakh, durato meno di una settimana, ha contribuito ad accrescere il senso di disperazione per la brutale repressione sulle proteste, mentre è aumentato il dissenso contro il regime di Bashar Assad. Al momento dell’operazione, Associated Press aveva intervistato alcuni residenti che parlarono di una scena catastrofica nella città in cui vivono circa 70mila persone. I racconti riferivano di uccisioni settarie, esecuzioni condotte da uomini armati, odore di corpi in decomposizione per le strade. Secondo alcuni attivisti il numero di vittime dell’assedio di maggio è 36.
“I racconti che abbiamo sentito dai testimoni di Talkalakh – spiega Philip Luther, vicedirettore di Amnesty International per il Medioriente e il Nordafrica – dipingono un quadro molto preoccupante di abusi sistematici e mirati per annientare i dissidenti”.
Dal report emerge che le forze siriane hanno sparato su famiglie in fuga e ambulanze che trasportavano feriti. Un testimone ha anche raccontato che i militari bruciavano i detenuti con sigarette accesse sul retro del collo. Secondo i racconti, almeno nove persone sono morte mentre si trovavano sotto custodia delle forze di sicurezza. Otto di loro erano state ferite da colpi di arma da fuoco nel momento in cui sono state costrette a lasciare le proprie case e quindi portate via dai soldati.
Secondo l’organizzazione internazionale, che per realizzare il report ha raccolto interviste in Libano e via telefono con oltre 50 persone, alcuni genitori che hanno identificato i corpi delle vittime a Talkalakh, vicino al confine con il Libano, sono stati costretti a firmare un documento in cui si dichiarava che i propri figli erano stati uccisi da bande armate. “Molti dei crimini descritti nel report – ha spiegato ancora Luther – ricadono sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale. Ma prima il Consiglio di sicurezza dell’Onu deve riferire sulla situazione in Siria al procuratore della Corte”. Quattro Paesi europei hanno introdotto al Consiglio una bozza di risoluzione per condannare la repressione sui manifestanti, ma Russia e Cina hanno annunciato che avrebbero posto il veto.
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