Milano, 25 ott. (LaPresse) – “Gheddafi amava le donne in quanto icone, gli piaceva che fossero forti. Non dimentichi che teneva sua madre in grandissima considerazione, la consultava prima di ogni conflitto. Si circondava di donne, come le amazzoni guardie del corpo, per dimostrare la loro forza, la loro capacità di combattere. Le rispettava, era gentile con loro. Ma questo l’Occidente non lo ha capito”. E’ un ritratto inedito dell’ex dittatore libico Muammar Gheddafi, giustiziato dai ribelli il 20 ottobre scorso a Sirte, in Libia, tratteggiato dalla vedova del leader dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) Yasser Arafat, la 48enne Suha Arafat, in un intervista rilasciata al settimanale Vanity fair, in uscita domani. L’ultima volta che Suha Arafat incontrò il dittatore libico fu a Roma, nel 2009, in procinto di firmare il Trattato di amicizia tra Italia e Libia.
“Può aver avuto metodi non condivisibili, ma era un uomo fiero, un vero leader, e si è molto speso con le idee e con i soldi per l’Africa”. Aggiunge Suha Arafat, che ricorda che quando suo marito morì, Gheddafi gli intitolò una via nel centro di Tripoli con una fastosa cerimonia. “Se – si legge in un altro passaggio dell’intervista di Suha – aveva colpe, era giusto che pagasse. Ma bisognava catturarlo e affidarlo alla giustizia, non ucciderlo come un cane: persino Saddam, prima di essere impiccato, ha avuto un processo e la possibilità di difendersi. E poi, accanirsi sul suo cadavere, che barbarie”.
“Vedendo – continua Suha su Vanity fair – l’orrendo pellegrinaggio davanti al suo cadavere, ho detto a mia figlia che deve essere orgogliosa di suo padre perché lui non è mai stato odiato dal suo popolo. Al contrario: c’è ancora gente che lo piange”.
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