Ankara (Turchia), 17 gen. (LaPresse/AP) – Si conclude con una nuova condanna e 18 assoluzioni il processo per l’omicidio del giornalista di origini armene Hrant Dink, che lascia l’amaro in bocca ai familiari e ai sostenitori del reporter. Inviso agli ultranazionalisti turchi perché parlava apertamente di genocidio armeno descrivendo le uccisioni di massa degli armeni da parte dei turchi sotto l’Impero Ottomano, Dink fu assassinato nel 2007 a Istanbul fuori dalla sede del giornale Agos, che dirigeva. Indignazione da parte dei legali della famiglia e degli attivisti per i diritti umani, che dopo la pronuncia della sentenza hanno marciato a centinaia fino alla sede del settimanale, promettendo di radunarsi di nuovo giovedì 19 gennaio in occasione del quinto anniversario dell’omicidio.
L’esecutore materiale, il giovane Ogun Samast, era stato condannato a 23 anni di prigione per omicidio premeditato lo scorso luglio. La sentenza di oggi riguarda invece Yasin Hayal, ultranazionalista turco condannato all’ergastolo perché ritenuto colpevole di aver incitato a compiere l’omicidio, insomma in quanto mandante. La Corte ha invece deciso di assolvere gli altri 18 imputati e lo stesso Hayal dalle accuse di aver agito su ordine di un’organizzazione terroristica.
La pronuncia di oggi era molto attesa perché il caso è stato seguito come un test per verificare se la magistratura possa indagare in modo completo sulla possibile negligenza da parte delle autorità. Mesi fa, infatti, era emerso che le autorità sapevano del piano dell’omicidio, ma non erano intervenute per impedirlo. Il processo non è riuscito a portare luce nel buio delle presunte connessioni fra i sospettati e alcuni funzionari statali, ha commentato un avvocato della famiglia Dink, Fethiye Cetin. “Il caso non è concluso, per noi ha solo l’inizio”, ha continuato il legale promettendo che presenterà ricorso in appello.
Il caso dell’omicidio di Hrant Dink è un’ulteriore tessera da inserire nel mosaico dei complessi rapporti che la Turchia ha con la nutrita comunità armena cristiana, che conta quasi 60mila persone in un Paese di oltre 70 milioni di abitanti a prevalenza musulmana. I rapporti fra Ankara e Yerevan sono tesi principalmente perché la Turchia si rifiuta di riconoscere come genocidio le uccisioni di massa di armeni risalenti ai primi del ‘900, in cui furono uccise almeno un milione e mezzo di persone. Il mese scorso proprio il genocidio armeno fu alla causa delle tensioni diplomatiche con Parigi, quando l’Assemblea nazionale francese votò a favore del disegno di legge che rende reato la negazione del genocidio armeno, equiparandola alla negazione dell’Olocausto.
L’accusa aveva chiesto l’ergastolo per altri sette sospettati. Fra loro anche Erhan Tuncel, che finora si era profilato come un altro mandante chiave. La Corte, tuttavia, aveva condannato Tuncel a 10 anni e mezzo di prigione per un altro reato, cioè per la sua responsabilità nell’attacco bomba del 2004 a un McDonald’s di Trebisonda, sul mar Nero, e dopo che ha finito di scontare la pena ne aveva ordinato il rilascio in attesa della sentenza.
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