Trang Bang (Vietnam), 2 giu. (LaPresse/AP) – Compie 40 anni la storica foto diventata simbolo della guerra del Vietnam in cui si vede una bambina che corre nuda per fuggire alle bombe al napalm appena sganciate. Lo scatto, in bianco e nero, fu realizzato l’8 giugno del 1972 nel villaggio di Trang Bang, nel sudest del Vietnam, dal fotografo di Associated Press Huynh Cong ‘Nick’ Ut, e gli valse il Pulitzer. Oggi la protagonista dell’immagine ha 49 anni ed è madre di due figli. Si chiama Kim Phuc. Tra lei e il reporter nacque un rapporto particolare. Lui, che tuttora lavora per AP ed è recentemente tornato a Trang Bang, la chiama “figlia”. Lei lo chiama con affetto ‘zio Ut’.
LA STORIA DIETRO LA FOTO. A quattro decenni di distanza la ‘napalm girl’ ricorda perfettamente come andarono le cose. Quell’8 giugno Phuc sentì dei soldati che gridavano: “Dobbiamo scappare via da qui, bombarderanno qui e moriremo”. Si trovava da tre giorni con la sua famiglia nei pressi del tempio Cao Dai dove aveva trovato rifugio, e intanto le forze del Vietnam del nord e del sud combattevano per il controllo del suo villaggio. Pochi secondi dopo vide cadere bombe dalle quali si sollevò un fumo di colore giallo e porpora. La bambina sollevò gli occhi e vide gli aerei sudvietnamiti che lanciavano bombe al napalm. Il fuoco la colpì al braccio sinistro e i vestiti di cotone evaporarono al contatto lasciando passare il dolore fino alla pelle. “In quel momento pensavo ‘diventerò brutta, non sarò più normale'”, racconta. Poi imboccò una strada seguendo il fratello, ma mentre correva non notò i giornalisti stranieri raccolti sul posto. ‘Brucia, brucia’, stava gridando al momento dello scatto di ‘Nick’ Ut. Poco dopo perse coscienza.
FOTOGRAFO: MI SAREI UCCISO SE LA BIMBA FOSSE MORTA. Il fotografo, allora 21enne, intervenne immediatamente e la portò in ospedale. I medici dissero che il caso era troppo grave per riuscire a fare qualcosa. Fu allora che il fotoreporter, vietnamita, tirò fuori il suo pass della stampa americana e raccomandò ai medici di prestare cura al caso della bimba. “Quando la vidi correre piansi”, racconta Nick Ut. “Allora pensai: ‘Se non la aiuto, se succede qualcosa e lei muore mi suiciderò'”, continua.
LE CURE IN OSPEDALE. Una volta tornato alla sede di Saigon il reporter sviluppò la foto. Il timore di tutti era che l’immagine di una bambina nuda sarebbe stata rifiutata per via della politica rigida dell’agenzia, contraria alle foto di persone nude. Ma Horst Faas, il responsabile del fotografico AP a Saigon recentemente scomparso, quando vide lo scatto capì che era fatto per rompere gli schemi. Un paio di giorni dopo l’immagine lasciò il mondo sotto shock. Fu un altro giornalista però, Christopher Wain, corrispondente di British Independent Television Network, a comunicare che la bambina era riuscita a sopravvivere. Lui, che aveva versato l’acqua sulle ferite di Phuc, si era battuto per farla trasferire nell’unità di Barsky gestita dagli americani, l’unica di Saigon che era in grado di trattare bruciature così gravi. Il corpo della bambina era infatti ricoperto da ustioni di terzo grado anche se il viso era rimasto intatto. Phuc fu finalmente autorizzata a lasciare la struttura 13 mesi dopo il bombardamento. Da allora cominciarono però per lei altri problemi.
LE DIFFICOLTA’ DOPO LA GUARIGIONE. Nick Ut e altri giornalisti andarono a farle visita alcune volte, ma dopo che il 30 aprile del 1975 le forze comunista del Vietnam del nord presero il controllo del sud questo non fu più possibile. Kim Phuc lavorò duro per poter riuscire ad accedere a una scuola di medicina e inseguire il sogno di diventare un dottore, ma quando i nuovi leader comunisti realizzarono chi era e il valore della foto che la ritraeva e che aveva fatto il giro del mondo, la ‘napalm girl’ fu costretta a lasciare il college e a tornare nella sua provincia di origine, dove le visite erano sotto rigido controllo. “Volevo scappare da quella foto”, racconta oggi Kim Phuc. “Ero stata bruciata dal napalm ed ero diventata una vittima della guerra, ma crescendo ero diventata un altro tipo di vittima”, afferma. “Allora pensavo che sarebbe stato meglio morire in quell’attacco con mio cugino in modo che non avrei dovuto più soffrire”, ha aggiunto.
GLI STUDI A CUBA E IL MATRIMONIO. Le cose cambiarono però per lei quando il premier vietnamita, toccato dalla sua storia, le concesse di andare a studiare a Cuba. Nel 1989 Ut, allora a Los Angeles, andò a farle visita a Cuba, ma non ebbero mai tempo per stare da soli. A scuola Phuc incontrò il futuro marito, che sposò nel 1992. In luna di miele andarono a Mosca e durante il volo di ritorno verso Cuba si fermarono per un rifornimento di carburante in Canada, ma fu l’occasione per non tornare mai più indietro. Phuc era libera. Chiamò il fotografo di AP per comunicare la notizia e lui la incoraggiò a raccontare la sua storia al mondo.
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