Gaza (Striscia di Gaza), 19 nov. (LaPresse/AP) – Con l’offensiva israeliana giunta ormai al sesto giorno, non si fermano i raid sulla Striscia di Gaza, da cielo e da mare. Intanto, il numero delle vittime tra la popolazione palestinese è arrivato a cento., di cui almeno 53 civili. A confermare la cifra è l’ufficiale medico Ashraf al-Kidra, secondo cui molto alto è anche il numero dei feriti: 840 di cui 225 bambini. Fra gli israeliani il bilancio è invece fermo a tre morti e almeno 50 feriti.
UNICEF CONFERMA STRAGE DI BAMBINI. Dopo l’escalation di ieri, tra le principali vittime dell’offensiva israeliana ci sono i bambini. A confermarlo è anche l’Unicef che parla di almeno 28 bimbi rimasti uccisi, e lancia l’allarme per la situazione sanitaria. “Gli ospedali – spiega – sono sovraffollati a causa dell’afflusso continuo di feriti e le scorte di alcuni farmaci si sono rapidamente esaurite”. Le condizioni di sicurezza, si legge nella nota dell’organizzazione, non permettono interventi umanitari all’interno di Gaza. Tuttavia, “cinque team di psicologi dell’Unicef stanno visitando ospedali e abitazioni private per fornire assistenza ai bambini che hanno subito shock o hanno assistito a scene violente”. La notte scorsa un raid aereo israeliano nella Striscia ha colpito due abitazioni di una stessa famiglia, provocando la morte di due bambini e due adulti, e il ferimento di almeno 42 persone.
NUOVAMENTE COLPITO IL MEDIA CENTER. Nel primo pomeriggio di oggi, inoltre, è stato nuovamente colpito il media center, già bersaglio israeliano nella notte tra sabato e ieri. Nell’attacco è rimasto ucciso Ramez Harb, uno dei più importanti leader della Jihad islamica, come riferisce lo stesso un gruppo attraverso un sms inviato ai giornalisti. A perdere la vita è stato anche un passante e, secondo il personale paramedico, molte altre persone sono rimaste ferite. Al momento non è chiaro se si sia trattato di un raid aereo o di un attacco lanciato da una nave, come è spesso successo in questi giorni; i testimoni parlano di un attacco aereo. Una nuvola di fumo nero si è sollevata dall’edificio e diverse ambulanze sono arrivate sul posto. Il complesso ospita alcune redazioni giornalistiche straniere e gli studi di Al-Aqsa tv, canale di Hamas.
LE TRATTATIVE DI PACE E IL RUOLO DELL’EGITTO. Nel frattempo non si fermano gli sforzi diplomatici per mettere fine alle violenze e raggiungere un accordo di cessate il fuoco. Il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon, che ieri si è detto addolarato per la morte di civili e preoccupato “per i continui lanci di razzi contro le città israeliane”, ha annunciato che si recherà nella regione per lanciare personalmente il suo appello per la fine delle violenze. L’Onu non ha però fornito ancora alcuna data per il suo arrivo. Il presidente degli Tstati Uniti Barack Obama ha invece sostenuto il diritto di Israele all’autodifesa, invitando però a evitare un’ulteriore escalation delle violenze. Il ruolo centrale di mediatore fra Hamas e Israele è intanto svolto dall’Egitto. Ieri un inviato israeliano si è recato al Cairo per colloqui sul cessate il fuoco ed è poi ritornato in Israele con dettagli sulla proposta di tregua. Il canale Channel 2 TV, citando fonti diplomatiche americane, riferisce che l’inviato personale di Netanyahu, Yitzhak Molcho, andrà a Washington nei prossimi giorni. Per domani è invece atteso a Gaza il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu.
HAMAS: ISRAELE FERMI RAID E ACCETTI NOSTRE CONDIZIONI. Anche il leader di Hamas Khaled Meshaal ha avuto colloqui con il presidente egiziano Mohammed Morsi. “Noi non accettiamo le condizioni di Israele perché è l’aggressore. Vogliamo un cessate il fuoco che al tempo stesso vada incontro alle nostre richieste”, ha detto Meshaal, parlando con i giornalisti al Cairo, e sottolineando che l’interruzione dei combattimenti dipende da Israele. Gaza, ha aggiunto, non chiede solo di fermare la guerra, la sua è “una richiesta di diritti legittimi”, tra cui uno stop degli attacchi e degli omicidi, e la fine dell’embargo. “Fate sì che coloro che hanno iniziato questa folle guerra la fermino, alle nostre condizioni”, ha concluso.
RISCHIO ATTACCO DI TERRA. Di diverso tenore la risposta israeliana. “L’esercito di Israele – aveva detto ieri il premier Netanyahu in Consiglio dei ministri – è pronto a estendere in modo significativo l’operazione”. Oggi un ufficiale rimasto anonimo ha rincarato: “Preferiamo la soluzione diplomatica se possibile. Se vediamo che questo non porta frutti, potremo aumentare” l’offensiva. Israele, ha aggiunto l’ufficiale, non vuole una “soluzione rapida” che si traduca in una nuova ripresa dei combattimenti. Vuole al contrario “garanzie internazionali” sul fatto che Hamas non si riarmi o non usi la penisola del Sinai egiziana per le sue attività militanti. Il rischio temuto da molti è quello di un attacco di terra da parte dell’esercito di Tel Aviv. Ipotesi contro la quale si è espresso ieri in modo forte il ministro degli Esteri britannico, William Hague. Hamas “ha la principale responsabilità” dell’inizio delle violenze, ma “se ci fosse un’invasione di terra per la comunità internazionale sarebbe molto più difficile solidarizzare o esprimere sostegno”, ha detto Hague.
COSA CHIEDONO LE PARTI PER ACCETTARE LA TREGUA. Il governo di Hamas e lo Stato ebraico sono ben distanti nelle loro richieste. La Striscia vorrebbe condizionare un accordo per la tregua all’abbandono totale dell’embargo su Gaza imposto nel 2007 da Israele e dal predecessore di Morsi, Hosni Mubarak. Hamas vuole inoltre garanzie che Tel Aviv fermi le uccisioni mirate dei suoi leader e comandanti militari. Israele, da parte sua, respinge queste richieste, fa sapere di non essere interessato a un “intervallo” e vuole garanzie che i lanci di razzi dal territorio palestinese si fermeranno. Da Gaza, i militanti hanno esteso il raggio d’azione dei loro razzi, lanciandoli nei giorni scorsi anche in direzione di Tel Aviv e Gerusalemme.
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