Tunisi (Tunisia), 14 gen. (LaPresse/AP) – Esattamente due anni fa Ben Ali era costretto a lasciare il potere in Tunisia a seguito della rivoluzione del gelsomino. Le rivolte erano partite il 17 dicembre del 2010, quando il venditore ambulante 26enne Mohammed Bouazizi si era dato fuoco nel piccolo paesino di Sidi Bouzid dando il via, inconsapevolmente, a una serie di proteste destinate a cambiare il volto del mondo arabo dall’Egitto al Marocco alla Libia. Era l’avvio della Primavera araba.
La Tunisia, a 24 mesi dalla fuga dell’uomo forte che ne reggeva le sorti dal 1987, è attraversata da tensioni interne sempre più forti e continua a fare i conti con l’alta disoccupazione. A margine delle celebrazioni per l’anniversario è stata infatti organizzata all’Assemblea nazionale costituente la firma di un ‘contratto sociale’, che prevede fra i suoi obiettivi crescita economica e sviluppo regionale, politiche per l’impiego e formazione professionale.
FUGA DI BEN ALI E AVVENTO DI ENNAHDA. Ben Ali è scappato in Arabia saudita ed è stato condannato in contumacia all’ergastolo. Le prime elezioni libere si sono tenute nel Paese a ottobre del 2011. Da allora è salito al potere il partito islamico moderato Ennahda ed è stato avviato il processo di stesura di una nuova Costituzione. Le tensioni interne sono però alte. Gli scontri, come nel vicino Egitto o nella Libia tormentata dalle milizie, sono all’ordine del giorno.
TENSIONI INTERNE. Dopo mesi di allarme sull’aumento degli estremismi religiosi, a preoccupare l’opposizione sono ora le cosiddette ‘Leghe per la protezione della rivoluzione’ che, più dei movimenti per garantire lo spirito della rivoluzione, sono considerate delle bande di vigilanti alleate del governo. Questi gruppi, legalizzati cinque mesi fa, sono saliti agli onori delle cronache mentre i salafiti, musulmani ultraconservatori, hanno perso piede dopo la repressione del governo per l’attacco del 14 settembre all’ambasciata degli Stati Uniti in relazione alle proteste contro il film su Maometto ‘Innocence of muslims’. Inizialmente si trattava di comitati creati per sorvegliare i quartieri nel caos immediatamente dopo la rivoluzione, ma il loro profilo si è via via evoluto. Recentemente le Leghe per la protezione della rivoluzione sono state coinvolte in aggressioni agli oppositori dell’esecutivo e in diversi attacchi alla principale sede dei sindacati. Le Leghe, dal canto loro, si oppongono particolarmente al nuovo partito politico chiamato ‘Nida Tunis’, guidato dall’ex premier Caid Beiji Essebsi, che aveva guidato il governo ad interim in attesa delle elezioni. Nel partito sono confluite molte figure del precedente regime, attirando accuse di volere ricostituire il vecchio sistema.
LA SITUAZIONE LUNGO I CONFINI. L’aumento di tensioni interne arriva fra l’altro in un momento molto delicato, visto che la situazione lungo i confini della Tunisia è in continua evoluzione, con al-Qaeda attiva nel Sahara in parte aiutata dall’arrivo di armi dopo la guerra civile in Libia. A dicembre la polizia ha trovato per esempio due campi di addestramento dei militanti vicino al confine con l’Algeria, probabilmente allestiti per preparare i tunisini delusi a unirsi alla jihad nel sud del Mali o nella vicina Algeria. “Con la situazione in Libia, al confine algerino e nel nord del Mali, la minaccia posta dai gruppi armati è probabile che aumenti”, spiega Slahhedine Jourchi, analista dei movimenti islamici in Tunisia.
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