Il Cairo (Egitto), 26 gen. (LaPresse/AP) – Dopo le manifestazioni e i disordini di ieri nel secondo anniversario della rivolta contro Hosni Mubarak, l’Egitto si è svegliato con una nuova giornata di sangue. Ieri in tutto il Paese hanno perso la vita almeno undici persone. Mentre oggi il teatro delle violenze è stato Port Said, sulla costa del Mediterraneo, dove questa mattina il tribunale ha emesso 21 condanne a morte per le violenze nello stadio di calcio cittadino in cui, il primo febbraio dello scorso anno, morirono 74 persone. Le vittime erano tifosi dell’Al-Ahly, squadra della capitale, sconfitta in quell’occasione dal club locale Al-Masry. Poco dopo il verdetto, si è scatenata la rabbia popolare e la folla ha assediato il carcere locale per cercare di liberare gli imputati.
27 VITTIME, ANCHE DUE CALCIATORI. Nell’assalto hanno perso la vita in tutto 27 persone, quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco e sparato gas lacrimogeni contro la folla. Tra le vittime anche un ufficiale e un agente di polizia, e due giocatori di calcio. Si tratta di Abdel-Halim al-Dizawi, calciatore della squadra al-Marikh di Port Said, raggiunto da tre colpi di arma da fuoco, e di Tamer al-Fahla, che ha militato nella principale squadra della città, l’Al-Madry, ucciso mentre si stava dirigendo verso la sede dell’Al-Marikh. Questa si trova nei pressi del carcere assaltato dai residenti locali dopo la lettura della sentenza. Centinaia i feriti, mentre l’esercito è stato schierato in strada per cercare di riportare la calma. I militari stanno già pattugliando la città di Suez, dove ieri otto persone hanno perso la vita nel corso delle manifestazioni.
FESTEGGIAMENTI AL CAIRO. Centinaia di ultras e tifosi dell’Al-Ahly, squadra di calcio del Cairo, hanno festeggiato la sentenza riuniti nei pressi della sede del club. Gli ultras della linea più dura avevano minacciato nuove violenze se il tribunale non avesse emesso condanne alla pena capitale per gli imputati. Nei giorni precedenti al verdetto, hanno promesso “vendetta” e spargimento di sangue. A detta degli avvocati, a essere stati condannati sono solo tifosi dell’Al-Masry. Nessun verdetto invece per i nove ufficiali di sicurezza alla sbarra.
REAZIONI ALLE CONDANNE. Le condanne a morte “erano necessarie”, ha commentato Nour al-Sabah, il cui figlio di 17enne è morto nella calca. “Ora – ha aggiunto – voglio vedere quegli uomini morire davanti ai miei occhi, come loro hanno visto l’omicidio di mio figlio”. Ma avvocati e residenti di Port Said parlano di “sentenza politica per calmare la popolazione”. “Queste persone non hanno fatto niente e non capiamo su cosa sia basato su questo verdetto”, ha commentato al telefono Mohammed al-Daw. “La nostra situazione a Port Said è molto grave perché i bambini vengono presi dalle loro case e sono costretti a indossare le magliette verdi”, ha poi aggiunto, riferendosi alla divisa dell’Al-Masry.
ACCUSE ALLE FORZE DI SICUREZZA. Le tensioni fin dal giorno della strage non si sono mai placate, alimentate anche dai sospetti nei confronti delle forze di sicurezza, accusate di non aver agito per impedire la tragedia e, anzi, di aver alimentato le violenze. Sull’episodio c’è il sentire comune che ex membri del regime di Hosni Mubarak abbiano agito per istigare le violenze e che la polizia abbia gravi responsabilità nell’incidente. Gli ultras dell’Al-Ahly, da sempre critici con la polizia, hanno diretto negli ultimi due anni il proprio odio contro l’esercito, fino a quando il presidente Morsi non è salito al potere lo scorso giugno. E in più occasioni ultimamente, i tifosi hanno manifestato contro il presidente Mohammed Morsi, accusato di non aver fatto abbastanza per riformare il sistema della sicurezza. Meno di tre mesi prima della strage di Port Said, ultras di diverse squadre sono stati coinvolti in scontri mortali con la polizia nei pressi del ministero dell’Interno del Cairo, in cui persero la vita 42 persone.
LA TRAGEDIA. Il giorno della strage, le violenze scoppiarono quando la squadra di casa vinse la partita 3-1, a quel punto gli ultras dell’Al-Masry scesero sul campo e iniziarono ad attaccare i tifosi avversari. Le autorità allora spensero le luci dello stadio, la folla iniziò a correre e molti rimasero schiacciati. I sopravvissuti parlano di una scena infernale, con la polizia ferma, mentre la tifoseria di casa accoltellava i fan dell’Al’Ahly, spingendoli giù dalle gradinate. Alcuni raccontano che gli ultras della squadra di Port Said incisero addirittura il nome della città sui corpi dei tifosi avversari e li picchiarono con sbarre di ferro.
GLI SCONTRI DI IERI. Solo ieri, l’Egitto era stato teatro di manifestazioni e disordini in tutto il Paese, a due anni esatti dall’inizio delle rivolte che portarono alla caduta di Hosni Mubarak. In totale almeno 11 persone hanno perso la vita. Suez la città più colpita, con otto vittime, dove oggi i blindati dell’esercito pattugliano le strade. Una persona ha perso la vita anche a Ismailia, a est del Cairo, dove la folla ha assediato la sede del governo provinciale. Uccisi inoltre due poliziotti. Quasi 500 i feriti in tutto il Paese. A Menouf e Shibeen el-Koum, le proteste hanno bloccato le linee ferroviarie e i collegamenti con la capitale. Scontri si sono verificati anche nella provincia di Sharqiyah e ad Alessandria.
MIGLIAIA IN PIAZZA NELLA CAPITALE. Al Cairo sono scese in piazza Tahrir decine di migliaia di persone. Gli scontri si sono avuti soprattutto fuori dal palazzo presidenziale, quando un gruppo di giovani ha provato ad abbattere le barricate della polizia, e poi davanti alla televisione di Stato dove qualche disordine si è registrato ancora oggi, nelle prime ore della mattina. Alcuni dimostranti hanno organizzato dei sit-in nelle principali strade e piazze, annunciando che non se ne andranno fino a quando Morsi non lascerà l’incarico. In tutto le manifestazioni di ieri hanno portato in piazza almeno 500mila oppositori del presidente Mohammed Morsi, una piccola parte degli 85 milioni di egiziani, ma grande abbastanza per mostrare che il discontento nei confronti del capo di Stato e dei suoi alleati islamici è forte.
L’APPELLO DI MORSI. In seguito alle violenze, il presidente Morsi ha cancellato il viaggio previsto per oggi in Etiopia e ha tenuto un incontro con il nuovo Consiglio di Difesa nazionale sugli episodi. Nella notte si era fatto sentire su Twitter, facendo appello alla calma. “Esprimo – ha scritto – le mie sincere condoglianze” alle vittime delle violenze e “chiedo a tutti i cittadini di rispettare i nobili principi della rivoluzione e di esprimere le loro opinioni in modo libero e pacifico, rinunciando alla violenza”. Il capo di Stato ha voluto poi ribadire che le autorità faranno di tutto per “salvaguardare e garantire la sicurezza delle manifestazioni pacifiche” e “non esiteranno a perseguire i colpevoli e portarli davanti alla giustizia”.
PERIODO DIFFICILE. Nonostante la caduta del regime, ormai due anni fa, la situazione economica e sociale dell’Egitto non è migliorata. E le tensioni continuano, con bersaglio soprattutto proprio Morsi e i Fratelli musulmani, suo gruppo di appartenenza, accusati da molti di essere accaparrati i risultati della rivoluzione. A inasprire la crisi, i decreti emessi nei mesi scorsi che garantivano al presidente poteri al di sopra della legge, e la Costituzione scritta senza il consenso della rappresentanza liberale del Paese.
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