Beirut (Libano), 31 gen. (LaPresse/AP) – A un giorno dal raid delle forze aeree di Israele in territorio siriano, arriva la condanna di Hezbollah e della Russia. Il gruppo libanese si è fatto sentire questa mattina, esprimendo “piena solidarietà al comando siriano, all’esercito e al popolo”, e definendo l’attacco “un’aggressione barbara”. Dal canto suo, Mosca si è detta “allarmata” e ha dichiarato, attraverso il ministero degli Esteri, che se l’informazione fosse confermata si tratterebbe di “un attacco non provocato su obiettivi nel territorio di uno Stato sovrano, che viola la Carta dell’Onu ed è inaccettabile”. La Russia, si legge ancora nella nota del ministero, “prenderà immediate misure per scoprire i dettagli” del raid e ribadisce l’appello all’immediata “fine delle violenze in Siria” e ad evitare “ogni interferenza straniera”.
DIVERGENZE SU OBIETTIVO COLPITO. Benché la conferma di un raid sia arrivata da più parti, ancora non è chiaro con esattezza quale sia stato l’obiettivo colpito. L’esercito di Tel Aviv non si esprime, ma fonti della sicurezza straniere fanno sapere che ad essere colpito è stato un convoglio di armi, tra cui anche missili anti-aerei Sa-17 di produzione russa, diretto a Hezbollah, in Libano. Diversa la versione delle forze armate siriane che negano l’esistenza del convoglio. Ieri sera, in un comunicato letto in televisione, l’esercito di Damasco ha sostenuto che i caccia israeliani siano in realtà penetrati nello spazio aereo siriano dalle Alture del Golan e abbiano colpito un centro di ricerca militare nell’area di Jamraya, a nordovest della capitale Damasco. Il raid, spiegano i militari, ha distrutto il centro, destinato a “elevare il livello di resistenza e di auto-difesa” dell’esercito, e danneggiato un edificio vicino, provocando inoltre la morte di due lavoratori e il ferimento di altri cinque. L’attacco, recitava il comunicato, “prova che Israele è l’istigatore, il beneficiario e talvolta l’esecutore di atti terroristici contro la Siria e il suo popolo”.
LA LUNGA GUERRA TRA ISRAELE E HEZBOLLAH. Il raid aereo segue decenni di tensioni tra Israele da una parte, e Siria e Hezbollah dall’altra, una situazione ulteriormente peggiorata con il conflitto interno siriano. Israele ed Hezbollah hanno combattuto una guerra di 34 giorni nel 2006, che costò la vita a 1.200 libanesi e 160 israeliani. Da allora i confini sono rimasti per lo più tranquilli, ma la lotta ha preso altre forme. Il gruppo libanese ha accusato Tel Aviv di avere ucciso un suo alto comandante, mentre Israele punta il dito contro Hezbollah e Iran per l’attacco terroristico avvenuto lo scorso luglio a Burga, in Bulgaria, contro un gruppo di turisti israeliani. A ottobre, in un nuovo affronto, il gruppo libanese ha inviato un drone di fabbricazione iraniana verso Israele. Lo Stato ebraico sostiene che dal 2006 l’arsenale di Hezbollah sia significativamente migliorato e che ora includa decine di migliaia di razzi e missili, e sia in grado di colpire obiettivi all’interno di quasi tutto il territorio israeliano.
PRECEDENTI RAID SULLA SIRIA. Prima dell’attacco della scorsa notte, negli ultimi anni, in più occasioni si sono registrati episodi simili, con un intervento diretto di Israele. Nel 2007, un raid israeliano distrusse un reattore nucleare siriano ancora in fase di costruzione. Nel 2006 i caccia di Tel Aviv sorvolarono il palazzo del presidente Bashar Assad, in una sorta di dimostrazione di forza dopo il rapimento del soldato Gilas Shalit. Mentre nel 2003, i jet attaccarono un sospetto campo di addestramento per militanti poco a nord di Damasco, in risposta all’attentato suicida nella città di Haifa costato la vita a 21 israeliani.
RISCHIO ARMI CHIMICHE. La preoccupazione della comunità internazionale negli ultimi mesi si è però concentrata soprattutto sulle armi chimiche che farebbero parte dell’arsenale militare di Damasco. Nei giorni scorsi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha messo in allarme per il pericolo delle “armi letali” in mano alla Siria, ammonendo che il Paese sta andando “sempre più a pezzi”. Contemporaneamente, Tel Aviv ha trasferito una batteria del nuovo sistema di difesa missilistica ‘Iron Dome’ nella città settentrionale di Haifa, colpita dai razzi di Hezbollah durante la guerra del 2006. Fino ad ora tuttavia, nel conflitto siriano Israele è rimasto silente rispetto agli appelli internazionali affinché Assad lasci il potere, concentrandosi principalmente sulla difesa da possibili attacchi. Gli ufficiali della difesa israeliana hanno monitorato attentamente le armi chimiche siriane, temendo che Assad le possa utilizzare o che possano cadere nelle mani degli estremisti che combattono nelle fila dei ribelli. In questo senso, in più occasioni il presidente Usa Barack Obama ha definito l’eventuale utilizzo di armi chimiche da parte di Damasco come una “linea rossa” che, se superata, porterebbe un intervento americano nell’area.
DEPUTATO ISRAELE: SE MONDO NON AGISCE FACCIAMO DA SOLI. Benché il governo di Tel Aviv non si sia ancora ufficialmente espresso sul raid, a rilasciare i primi commenti in merito è stato questa mattina deputato Tzachi Hanegbi, stretto alleato di Netanyahu ed esperto di sicurezza. Israele, ha detto, preferirebbe che fosse un’entità occidentale a “controllare questi sistemi di armi” ma, “visto che il mondo non sembra preparato a fare ciò che è stato fatto in Libia o in altri luoghi, allora Israele, come più volte in passato, si trova di fronte a un dilemma a cui solo lui sa come rispondere”. “Anche se ci sono rapporti su operazioni localizzate – ha aggiunto – non si tratta di soluzioni significative alla minaccia in sé, perché stiamo parlando di funzionalità molto consistenti che potrebbero raggiungere Hezbollah”.
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