Amman (Giordania), 22 mar. (LaPresse/AP) – Ultima giornata in Terra Santa per il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che nel pomeriggio è volato in Giordania, per concludere il suo viaggio in Medioriente. Come da programma, questa mattina il capo di Stato americano ha reso omaggio alle tombe di due delle figure più importanti per lo Stato ebraico, il fondatore del sionismo moderno Theodor Herzl, morto nel 1904 prima di riuscire a realizzare il sogno della patria ebraica, e l’ex primo ministro Yitzhak Rabin, ucciso nel novembre 1995 da un colono ebreo estremista. Quindi si è recato al memoriale dell’Olocausto Yad Vashem, e poi a Betlemme dove, accompagnato dal presidente dell’Anp Mahmoud Abbas, ha visitato la Basilica della Natività. Nel pomeriggio è quindi arrivato ad Amman.

OMAGGIO A HERZL E RABIN. “È fonte di ispirazione visitare e ricordare l’idealista che ha iniziato la straordinaria creazione dello Stato di Israele. Possano i nostri due Paesi possedere la stessa visione e garantire la pace e la prosperità per le future generazioni”, ha scritto questa mattina Obama sul libro degli ospiti presso la tomba di Herzl. Sotto il cielo coperto, il presidente si è avvicinato al sepolcro da solo e ha chinato il capo in silenzio. Poi si è rivolto al primo ministro Benjamin Netanyhau per chiedere dove posizionare una piccola pietra, come da tradizione ebraica. Quindi si spostato presso la tomba di Rabin, poco distante. Qui, accolto dalla famiglia, ha posato prima una pietra sulla tomba della moglie di Rabin, quindi una su quella dell’ex primo ministro israeliano. Un pietra dal forte valore simbolico che, come spiega la Casa Bianca, proviene dal terreno del memoriale dedicato a Martin Luther King a Washington. “Era un grande uomo”, ha commentato.

VISITA A MEMORIALE OLOCAUSTO. Obama si è quindi recato presso il memoriale dell’Olocausto Yad Vashem, dove è stato accompagnato dal rabbino Israel Meir Lau, sopravvissuto del campo di concentramento di Buchenwald, che perdette i genitori nell’Olocausto. Al memoriale, il presidente ha visitato la Sala dei nomi, una galleria circolare contenente testimonianze originali che documentano ogni vittima identificata dell’Olocausto. “Qui, sulla vostra antica terra – ha affermato Obama – tutto il mondo deve sentire. Lo Stato di Israele non esiste a causa dell’Olocausto, ma grazie alla sopravvivenza di un forte Stato di Israele, un Olocausto non accadrà mai più”. Il memoriale Yad Vashem, ha aggiunto il presidente americano, illustra la depravazione a cui l’uomo può arrivare, ma serve anche come ricordo dei “giusti tra le nazioni che hanno rifiutato di essere spettatori”.

A BETLEMME CON ABBAS. Nel primo pomeriggio Obama è giunto a Betlemme, dovendo però rinunciare al trasferimento in elicottero per via dei forti venti. Percorrendo la strada in auto ha potuto vedere in prima persona e da vicino il muro che divide la Cisgiordania da Israele. Giunto nella città che ospita la Basilica della Natività, il presidente è stato accolto da 300 pellegrini palestinesi e stranieri. Un gruppo di cittadini locali lo ha anche contestato lungo la strada di arrivo, mostrando cartelli con scritte come ‘Palestina libera’ e i più duri ‘Gringo, torna nella tua colonia!’ e ‘Gli Usa supportano l’ingiustizia di Israele’. Nella visita della chiesa, Obama è stato accompagnato da Abbas. I due si sono fermati nella Grotta della Natività, quindi hanno posato per alcune fotografie con il sindaco Vera Baboun. Al presidente americano hanno anche dato il benvenuto una ventina di bambini che sventolavano bandierine di Usa e Palestina.

LE SCUSE DI ISRAELE A TURCHIA. Obama è quindi partito con l’Air Force One verso la Giordania, non prima però di aver incontrato per altre due ore Netanyhau, incassando una piccola vittoria. Su sua pressione, infatti, il primo ministro ha telefonato all’omologo turco Recep Tayyp Erdogan per porgere le sue scuse per il raid contro la Freedom flotilla di tre anni fa, costato la vita a nove cittadini turchi. Un passo importante, che permetterà una ripresa dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, messi a rischio proprio dall’episodio.

ULTIMA TAPPA IN GIORDANIA. Atterrato all’aeroporto internazionale Queen Alia, di Amman, il presidente è stato accolto su un tappeto rosso da funzionari statunitensi e giordani. Quindi si è diretto al palazzo al-Hummar, con un trasferimento di circa mezz’ora. Qui ha incontrato re Abdullah II, con il quale si è scusato “per il ritardo”. “Abbiamo avuto una tempesta di sabbia”, ha detto Obama. I due hanno passato in rassegna le truppe riunite in cortile, alcune delle quali in groppa a cammelli.

ATTENZIONE ALLA SIRIA. Tra i principali argomenti trattati con Abdullah II, ovviamente il conflitto siriano. In una conferenza stampa congiunta, Obama si è detto molto preoccupato per la possibilità che la Siria diventi una enclave di estremisti. “Qualcosa – ha detto il presidente – si è rotto in Siria, e non sarà possibile ripararlo in maniera perfetta, neanche quando Assad se ne sarà andato”. Gli estremisti, ha quindi notato, sopravvivono in questo tipo di caos. Il presidente ha sottolineato che la comunità internazionale deve lavorare per garantire che ci sia un’opposizione credibile che possa riempire il vuoto in Siria. Obama ha poi detto di non avere dubbi sulla caduta del regime, affermando che si tratta soltanto di capire quando ciò accadrà. E ha poi garantito nuovi aiuti alla Giordania, anche per far fronte all’emergenza profughi. Attenzione poi ancora per il conflitto israelo-palestinese, in merito a cui Obama ha promesso che “continuerà a lavorare insistentemente” per giungere a un accordo tra le parti.

DOMANI VISITA A PETRA. Questa sera Abdullah e Obama ceneranno insieme. Domani invece il presidente concluderà la visita in Medioriente con una tappa nella storica città di Petra, quindi farà ritorno a Washington.

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