Pechino (Cina), 30 mar. (LaPresse/AP) – Nessun segno di vita dalla miniera d’oro in Tibet dove nella notte tra giovedì e venerdì si è abbattuta una frana che ha sepolto 83 lavoratori. A oltre 36 ore dalla tragedia, fanno sapere i media di Stato cinesi, l’unica novità è il ritrovamento di un corpo senza vita di uno degli operai, estratto attorno alle 17.35, quando in Italia erano le 10.35 di mattina.
Secondo i media locali, sul posto sono al lavoro oltre tremila soccorritori, ma le operazioni sono state rese più difficili dalla neve, che ha iniziato a cadere nel primo pomeriggio. Nonostante siano praticamente nulle le possibilità di trovare qualcuno ancora in vita, il presidente Xi Jingping e il primo ministro Li Keqiang hanno ordinato alle autorità di “non risparmiare sforzi” per cercare di prestare soccorso.
La miniera si trova nella contea di Maizhokunggar, nella prefettura di Lhasa. Tutti i dispersi sono dipendenti di una sussidiaria del China National Gold Group Corp., impresa statale e maggiore produttore d’oro del Paese. Secondo l’agenzia di stampa Xinhua, almeno due degli operai sepolti sarebbero tibetani, il resto cinesi di etnia Han. La frana ha riguardato un’area mineraria di quattro chilometri quadrati. A cedere, spiega la televisione Cctv, sono stati circa due milioni di metri cubi di fango, rocce e detriti.
Il governo di Pechino incoraggia lo sviluppo di miniere e altri tipi di industria in Tibet, per stimolare la crescita economica e innalzare la qualità dello stile di vita. Il Tibet abbonda di riserve di rame, cromo, bauxite e altri minerali e metalli, e rappresenta una delle ultime frontiere di rapida crescita in Cina. Tuttavia, molti ritengono che la corsa alle risorse dell’area possa danneggiare il delicato ecosistema d’alta quota della regione e che l’influenza dei cinesi Han possa minacciare la cultura buddista della zona e i suoi stili di vita tradizionali.
“L’attività mineraria non controllata – ha commentato sul suo blog la scrittrice tibetana Tsering Woeser – ha inquinato l’acqua, ha fatto ammalare gli animali e gli umani, ha costretto i pastori a sfollare e ora ha causato una frana enorme”. La scrittrice, che segue gli sviluppi dell’attività mineraria a Gyama e nell’area circostante dal 2007, denuncia che le potenti compagnie di Stato, assetate di risorse, hanno devastato il paesaggio.
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