Kabul (Afghanistan), 18 mag. (LaPresse/AP) – Dura battuta d’arresto alla legge contro la violenza sulle donne in Afghanistan. Il dibattito in Parlamento è stato bloccato da un gruppo di deputati religiosi conservatori, convinti che i provvedimenti in discussione costituiscano una violazione dei principi islamici e incoraggino la disobbedienza delle donne. La legge contro la violenza sulle donne è in realtà in vigore dal 2009, ma solo grazie a un decreto del presidente Hamid Karzai. A portarla ora in Parlamento è stata la deputata Fawzia Kofi, attivista per i diritti delle donne e aspirante candidata alla presidenza nel 2014, che mirava a ottenere un voto in aula per rafforzare la legge evitandone ogni potenziale ribaltamento da parte dei futuri presidenti.

PROTESTE IN AULA E STOP AL DIBATTITO. A raccontare come sono andate le cose è uno dei parlamentari conservatori, Khalil Ahmad Shaheedzada, originario della provincia di Herat. La legge, spiega, è stata ritirata poco dopo l’inizio del dibattito a causa di una rumorosa protesta di alcuni partiti religiosi, secondo i quali la legge va contro l’islam. “Di tutto ciò che è contro la legge islamica non è neanche necessario parlare”, sostiene Shaheedzada. La forte opposizione alla legge evidenzia come, a 12 anni dalla cacciata del regime talebano, i diritti delle donne rimangano deboli.

COSA PREVEDE LA LEGGE. Il testo in discussione oggi prevedeva, fra le altre cose, di rendere reato i matrimoni fra bambini e quelli forzati e l’introduzione del divieto del ‘baad’, cioè la pratica tradizionale di scambiare donne e bambine per accordarsi sulle vittime. La legge prevede inoltre di rendere la violenza domestica un reato punibile fino a tre anni di prigione e specifica che le vittime di stupro non dovrebbero affrontare accuse di adulterio o fornicazione, rilevanti penalmente.

IL FRONTE DEL NO. Il dibattito in aula si è riscaldato in modo particolare al momento della discussione su due punti: il divieto delle spose bambine e l’idea di non perseguire le donne vittime di stupro. A spiegarlo è un altro deputato conservatore, Nasirullah Sadiqizada Neli, della provincia di Daykundi. Il parlamentare sostiene che eliminare in Afghanistan la pratica comune di perseguire le donne stuprate per adulterio porterebbe al caos sociale, con le donne che si lancerebbero liberamente in relazioni extraconiugali, certe che se scoperte potrebbero denunciare di essere state vittime di stupro. Dice la sua anche un altro parlamentare, Mandavi Abdul Rahmani, originario della provincia di Barlkh. “L’adulterio in sé è un reato nell’islam, indipendentemente dal fatto che avvenga per costrizione o no”, afferma, aggiungendo che il Corano chiarisce anche che un marito ha il diritto di picchiare una moglie disobbediente come ultima spiaggia, purché la donna non ne ricavi danni permanenti. “Ma questa legge dice che se un uomo picchia la moglie deve essere imprigionato da tre mesi a tre anni”, prosegue. Per il parlamentare di Herat Shaheedzada, questa legge incoraggia la disobbedienza fra donne e ragazze, riflettendo valori occidentali non applicabili in Afghanistan. “Adesso in Afghanistan le donne scappano via dai mariti, le ragazze vanno via da casa, leggi del genere danno loro queste idee”, ha detto.

La posizione del no alla legge è sintetizzabile in quella del parlamentare Mandavi Abdul Rahmani: “non possiamo avere un Paese islamico con legge essenzialmente occidentali”, afferma, sostenendo che il presidente Hamid Karzai non avrebbe mai dovuto emettere quel decreto e che sarebbe necessario abrogare la legge.

OPPOSIZIONE ANCHE DALLE DONNE. A colpire Fawzia Kofi, la deputata che ha portato in Parlamento il testo, è il fatto che a fermare il dibattito siano state anche delle parlamentari donne. Nel Parlamento afghano siedono oltre 60 deputate donne, la maggior parte per via di norme costituzionali che impongono di riservare un tot di quote rosa.

LEGGE POCO APPLICATA. Da quando è stata emanata nel 2009 la legge contro la violenza sulle donne è rimasta poco applicata. Uno studio dell’Onu risalente al 2011 ha evidenziato che solo una piccola percentuale dei reati contro le donne vengono perseguiti dal governo afghano. Tra marzo 2010 e marzo 2011, il primo anno pieno durante il quale il decreto presidenziale è stato in vigore, i procuratori hanno formulato accuse di rilevanza penale solo in 155 casi, cioè per il 7% dei reati del genere riportati. L’aumento dei diritti per le donne è uno dei cambiamenti più visibili, e simbolici, avvenuti in Afghanistan dall’invasione degli Stati Uniti del 2001 che portò al crollo del regime dei talebani. Finché erano al potere i talebani, vigeva una interpretazione rigida dell’islam, in base alla quale venivano negate alle donne molte libertà. Per cinque anni il regime ha impedito alle donne di lavorare e andare a scuola o lasciare casa senza un parente di sesso maschile. In pubblico tutte le donne erano costrette a indossare il burqa, che le copriva dal capo ai piedi. Chi violava queste regole veniva frustato o ucciso pubblicamente. Dal 2001 la situazione è migliorata, ma in Afghanistan rimane una cultura prevalentemente conservatrice, specialmente nelle zone rurali.

IL FUTURO DELLA LEGGE SULLE DONNE. Lo stop di oggi alla legge sulla violenza sulle donne riflette il potere dei partiti religiosi ma non determina grandi cambiamenti nei fatti, dal momento che il decreto presidenziale rimane in vigore. A questo punto, spiega Kofi, il Parlamento ha deciso di mandare la legge in commissione, dove verrà votata entro quest’anno. “Lavoreremo a questa legge e la riporteremo indietro”, ha detto. Alcuni attivisti, tuttavia, temono potenziali cambiamenti al testo. Una volta che è stata portata in Parlamento, infatti, la legge è adesso passibile di emendamenti, lasciando ai conservatori la possibilità di provare a indebolirla eliminando garanzie che non gradiscono oppure addirittura provando ad approvare un’abrogazione. “C’è un rischio reale che questo abbia aperto un vaso di Pandora, che questo maggio abbia galvanizzato l’opposizione al decreto da parte di persone che in principio si oppongono a maggiori diritti per le donne”, spiega una ricercatrice che lavora per Human Rights Watch, Heather Barr.

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