Teheran (Iran), 25 ago. (LaPresse/AP) – Non accenna a diminuire la tensione sulla crisi siriana e il presunto uso di armi chimiche da parte del governo di Damasco. Sulla vicenda sono intervenuti questa mattina anche Iran e Israele. Il primo per avvertire che ci saranno “gravi conseguenze” in caso di intervento degli Usa nell’area. Il secondo per chiedere invece che Washington agisca. Ancora nessuna decisione arriva però dalla Casa Bianca dove ieri Barack Obama ha incontrato i consiglieri per la sicurezza da cui è stato informato sulle possibili opzioni da adottare. Intanto però nel primo pomeriggio il governo di Damasco ha dato il proprio ok all’ispezione del sito del raid sospetto da parte del team di esperti di armi chimiche delle Nazioni unite. “Troppo tardi per essere credibile”, rispondono da Washington.

IRAN: IL CONFLITTO E’ UN COMPLOTTO STRANIERO. A parlare della crisi è stato il generale iraniano Masoud Jazayeri, secondo cui “il superamento della linea rossa in Siria avrà gravi conseguenze per la Casa Bianca” e Washington è ben consapevole di quali siano questi limiti da non superare. La guerra in Siria, ha quindi aggiunto il generale citato dall’agenzia di stampa Fars, è il prodotto di un complotto statunitense e di Paesi “regionali reazionari”. Espressioni che generalmente indicano Arabia Saudita e Qatar.

USA E FRANCIA: POCHI DUBBI CHE REGIME SIA RESPONSABILE. Sulla vicenda è intervenuta nuovamente oggi la Casa Bianca. Un funzionario rimasto anonimo ha ribadito che, in base alle informzioni raccolte dall’intelligece, ci sono “pochissimi dubbi!” sul fatto che Assad abbia usato armi proibite. L’intelligence Usa, ha spiegato, ha basato la propria valutazione su “il numero riportato di vittime, i sintomi riportati di coloro che sono stati uccisi o sono rimasti feriti e i racconti delle vittime”. Sulla stessa linea Parigi, secondo cui una serie “di prove” suggerisce che nel raid di mercoledì sono state usate armi chimiche. In una nota il presidente François Hollande riferisce che “tutto” porta la Francia a credere che il governo di Assad sia responsabile dell’attacco. Sempre su questo tema il funzionario della Casa Bianca spiega che l’amministrazione Usa è convinta che il governo di Damasco stia impedendo alla squadra di investigatori dell’Onu di avere accesso immediato al sito del raid sospetto, in modo che le prove del raid si deteriorino con il tempo.

DAMASCO DA’ OK A ISPEZIONE ONU, ISPETTORI AL LAVORO DOMANI. Proprio oggi però il governo di Damasco ha fatto sapere di aver trovato un accordo per permetter agli ispettori dell’Onu di recarsi sul luogo del raid. Nel pomeriggio l’Onu ha confermato la notizia, facendo sapere che gli ispettori cominceranno l’attività sul posto già domani. In Siria sono attualmente al lavoro gli esperti dell’Onu guidati dal capo ispettore, lo svedese Ake Sellstrom, impegnati in un’indagine su precedenti episodi denunciati di uso di armi chimiche. Ieri è arrivata a Damasco anche il capo Onu per il disarmo, Angela Kane.

OBAMA INFORMATO SU TUTTE LE OPZIONI. La situazione si è scaldata particolarmente a partire da mercoledì, quando gli attivisti hanno denunciato un attacco dell’esercito a est di Damasco condotto con presunto uso di armi chimiche. Un’eventualità che più volte il Obama aveva definito in passato una “linea rossa” che avrebbe potuto comportare un intervento nell’area. Ieri il presidente americano ha avuto un importante incontro con i suoi consiglieri nazionali per la sicurezza, durante il quale è stato aggiornato sulle possibili opzioni da adottare. “In coordinamento con i partner internazionali e memori delle decine di testimonianze contemporanee e della registrazione dei sintomi delle vittime – si legge in una nota della Casa Bianca, diffusa al termine dell’incontro – la comunità dell’intelligence Usa continua a raccogliere i fatti per accertare quanto sia avvenuto”. Intanto, nei giorni scorsi la marina Usa ha inviato nel Mediterraneo orientale una quarta nave da guerra armata con missili balistici, ma senza ordini immediati che prevedano alcun lancio di missili contro la Siria.

USA: RISPOSTA TARDIVA E POCO CREDIBILE. “Troppo tardi per essere credibile”, è il commento degli Stati Uniti all’ok di Damasco. A dirlo un funzionario dell’amministrazione Obama coperto dall’anonimato.

EUROPA DIVISA. Sempre ieri Obama ha sentito telefonicamente il primo ministro britannico David Cameron, con cui s è trovato d’accordo sull’approccio da mantenere. I due, ha fatto sapere nella notte Downing Street, sono preoccupati per le “crescenti indicazioni” secondo cui “un significativo attacco con armi chimiche” è stato condotto dal governo siriano contro il suo popolo. Obama e Cameron, prosegue la nota, “ribadiscono che il significativo uso di armi chimiche meriterebbe una seria risposta dalla comunità internazionale”. “Il fatto che il presidente Assad non abbia cooperato con l’Onu – si legge ancora nel comunicato – suggerisce che il regime ha qualcosa da nascondere”. Ben più accorta Angela Merkel che ieri è tornata a spingere per una soluzione che sia esclusivamente politica. La cancelliera tedesca, ha fatto sapere il suo portavoce Steffen Seibert, accoglie con favore la volontà della Russia di sostenere un’indagine indipendente sul possibile uso di armi chimiche e sottolinea l’urgente necessità di una soluzione politica al conflitto. Merkel ha riaffermato inoltre l’appello affinché gli ispettori dell’Onu abbiano rapido accesso alle aree potenzialmente colpite.

ISRAELE: INTERVENTO NECESSARIO. Ad alimentare le tensioni arriva nel frattempo anche la posizione del governo israeliano. “Questa situazione non può continuare”, l’attacco con armi chimiche sui civili in Siria è “un crimine terribile”, ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu, parlando a un incontro di Gabinetto. Intervistata da Israel Radio, la ministra della Giustizia Tzipi Livni ha sottolineato che una risposta degli Usa al presunto uso di gas velenosi da parte del governo di Damasco potrebbe scoraggiare episodi simili in futuro, ma avere anche implicazioni per la sicurezza di Israele. Sul caso è intervenuto anche il ministro dell’Intelligence, Yuval Steinitz, che ad Army Radio ha sostenuto che il raid esige una risposta. Le possibilità che la Siria attacchi Israele a causa dell’azione Usa sono sottili, ma l’esercito deve essere preparato a questa eventualità.

I SOSPETTI SULL’USO DI ARMI CHIMICHE. L’ipotesi di una reazione della comunità internazionale sulla Siria ha preso sempre più corpo dopo l’attacco di mercoledì a est di Damasco, in cui gli attivisti dell’opposizione siriana hanno accusato il governo di Bashar Assad di avere usato gas tossici. Incerto il bilancio totale, che oscilla fra 322 morti, come riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, e 1.300, come sostiene la Coalizione nazionale siriana. Damasco nega di avere usato armi chimiche, definendo le accuse “assolutamente prive di fondamento”. A questo proposito Hagel ha detto che gli Stati Uniti si stanno coordinando con la comunità internazionale per determinare “cosa sia avvenuto esattamente”. “Stiamo valutando”, ha detto il capo del Pentagono, aggiungendo che una determinazione a proposito del presunto uso di armi chimiche va fatta rapidamente perché “potrebbe esserci un altro attacco in arrivo” anche se “non sappiamo” se questo avverrà. Stati Uniti, Regno Unito e Russia hanno tutti invitato Assad e ribelli a collaborare con l’Onu e a permettere agli ispettori, già prsenti per altre indagini nel Paese, di accedere alla zona del presunto attacco per compiere verifiche.

NAVI USA POTREBBERO LANCIARE MISSILI TOMAHAWK. Hagel, che si trova in viaggio nel Sudest asiatico, ha fatto comunque sapere che resterà in contatto con la Casa Bianca, anche per la pianificazione di una potenziale azione da parte degli Usa. Le navi della marina statunitense sono capaci di compiere diverse azioni militari, compreso il lancio di missili Tomahawk, che hanno utilizzato per esempio nel 2011 in Libia nell’ambito dell’intervento internazionale che ha portato alla fine del governo di Muammar Gheddafi. Se gli Stati Uniti intendono mandare un messaggio a Bashar Assad, l’azione militare più probabile sarebbe appunto un attacco con missili Tomahawk da una nave nel Mediterraneo.

MODELLO KOSOVO. Mentre Obama valuta le possibili opzioni per rispondere al sospetto attacco con armi chimiche, i suoi collaboratori per la sicurezza nazionale stanno studiando gli attacchi aerei della Nato in Kosovo del 1999 come possibile modello per agire senza un mandato delle Nazioni unite. A riportarlo è stato ieri il New York Times, che ha citato fonti proprie. Il Kosovo è un precedente ovvio per Obama, afferma il quotidiano newyorkese, perché anche in Siria ci sono civili uccisi e la Russia ha legami consolidati con il governo accusato degli abusi. L’intervento americano in Kosovo giunse dopo la repressione degli albanesi compiuta nel 1998 e 1999 dal governo di Slobodan Milosevic, da tempo sostenuto da Mosca. Nel 1999 il presidente Usa Bill Clinton utilizzò l’endorsement della Nato e la logica della protezione della popolazione vulnerabile per giustificare 78 giorni di attacchi aerei.

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