Mosca (Russia), 10 set. (LaPresse) – Si infittisce il pressing diplomatico sulla Siria. Dopo che Damasco ha acconsentito a mettere sotto controllo internazionale e poi distruggere il suo arsenale chimico, come proposto da Mosca, ora è la stessa Russia a fare marcia indietro alla risoluzione che lo prevede e che Francia, Regno Unito e Usa intendono portare stasera in Consiglio di sicurezza Onu. Il centro della controversia è il Capitolo VII della Carta Onu: la bozza dei tre Paesi occidentali prevede che la risoluzione sia infatti vincolante, autorizzando l’uso della forza.

Mosca, alleata del regime di Bashar Assad, dice no alla condizione, definendo la misura “inaccettabile”. E la stessa Russia ha chiesto un incontro urgente al Consiglio Onu, fissato a porte chiuse questa sera alle 22. Intanto, la Casa Bianca ha fatto sapere che Usa, Francia e Regno Unito si sono accordati per lavorare a stretto contatto e in consultazione con Russia e Cina “per esplorare seriamente la fattibilità della proposta russa”.

Oggi si sono susseguiti i commenti sul piano di Mosca. Il presidente Usa Barack Obama l’ha definito con cautela un “potenziale sviluppo positivo”, dicendo di attendere i dettagli, mentre il voto del Congresso Usa per autorizzare l’intervento militare in Siria è stato di nuovo posticipato e i deputati restano divisi. Fonti della Casa Bianca hanno poi fatto sapere che Obama è disposto a discutere il piano di Mosca alle Nazioni unite, mentre nel pomeriggio il presidente ha discusso della questione con il premier britannico David Cameron e con il presidente francese François Hollande.

Intanto, si attende il discorso alla nazione dello stesso Obama, che parlerà dalla Casa Bianca alle 3 di notte ora italiana. Anche la Cina si è espressa a favore della proposta russa, così come la Lega araba. Scettici invece Israele, secondo cui Damasco vuole soltanto prendere tempo, e il gruppo d’opposizione Coalizione nazionale siriana, che ha invocato l’azione militare contro Assad dicendo che le proposte russe mirano solo a ritardare l’intervento armato. Dubbi anche da Berlino che chiede fatti concreti e non parole.

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