Washington (Usa), 29 apr. (LaPresse/AP) – “Se potessi riavvolgere il nastro, sceglierei parole diverse per descrivere la mia ferma convinzione che l’unico modo sul lungo termine di avere uno Stato ebraico è di arrivare a una soluzione a due Stati, in cui due nazioni e due popoli convivano uno a fianco all’altro”. Così il segretario di Stato Usa John Kerry, in un comunicato seguito alle critiche su dei commenti in cui affermava che, in assenza di un accordo di pace con i palestinesi, Israele rischia di diventare uno Stato di apartheid. Affermando di essere stato frainteso e sottolineando che le sue non sono scuse per le proprie dichiarazioni, Kerry ha dichiarato di essere stato e di essere ancora un acceso sostenitore di Israele, aggiungendo: “Non permetterò che sia messo in dubbio il mio impegno verso Israele da nessuno, in particolare per scopi politici e di parte, quindi voglio essere cristallino su cosa credo e su cosa non credo”.
“Per prima cosa, Israele è una democrazia vibrante e non credo, né ho mai affermato pubblicamente o in privato, che il Paese sia uno Stato di apartheid o intenda diventarlo”, afferma ancora Kerry nella nota, aggiungendo: “In secondo luogo, ho esperienza sufficiente per conoscere il potere che le parole hanno nel creare impressioni sbagliate, anche se non intenzionali”. Nel comunicato Kerry ha poi fatto notare che in passato sono stati proprio i leader di Israele, dall’attuale premier Benjamin Netanyahu ai suoi predecessori Ehud Barak ed Ehud Olmert, a fare accostamenti simili in passato. Tuttavia, ha osservato Kerry, sebbene Barak, Olmert e la ministra della Giustizia Tzipi Livni “abbiano tutti parlato di apartheid per sottolineare i pericoli che uno Stato unico rappresenta per il futuro, qui negli Stati Uniti quella parola non deve essere usata”.
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