New York (New York, Usa), 13 mag. (LaPresse/AP) – Le truppe africane impegnate nella caccia al signore della guerra Joseph Kony stanno concentrando le ricerche in Repubblica Centrafricana, nonostante il leader dell’Esercito di resistenza del signore (Lra) si muova costantemente anche fra Sudan, Sud Sudan e Congo perché sa di essere inseguito. Lo ha detto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite Abou Moussa, rappresentante speciale dell’Onu per l’Africa centrale. Parlando con la stampa dopo l’incontro, Moussa ha dichiarato di ritenere che la cattura di Kony “arriverà abbastanza presto vista la strada che abbiamo intrapreso”. Kony, ha proseguito Moussa, si muove costantemente fra i vari Paesi del centrafrica e l’enclave contesa di Kafia Kingi perché “abbiamo delle truppe che lo seguono giorno per giorno”.

L’inviato Onu ha dichiarato ancora di avere parlato con l’ambasciatore del Sudan presso le Nazioni unite, il quale gli ha assicurato che il Paese “non sta dando rifugio a Kony” e che Kafia Kingi “è terra di nessuno”. Moussa ha infine tracciato un parallelo fra il gruppo nigeriano Boko Haram, che ha recentemente rapito oltre 300 studentesse in Nigeria, e Kony, per i suoi sequestri di bambini e per le aggressioni con acido alle studentesse nei primi anni di attività del Lord resistance army. L’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, Samantha Power, ha detto che “nel rapimento di bambini, Boko Haram sta imitando le tattiche usate per prime nella regione dall’Esercito di resistenza del signore”.

Il gruppo Lra si è formato in Uganda negli anni ’80 durante una rivolta popolare contro il governo di Kampala, mettendosi alla guida di una delle più lunghe e brutali ribellioni africane. I combattenti sono accusati dall’Onu e da gruppi per i diritti umani di avere tagliato la lingua e le labbra a civili innocenti e di avere rapito migliaia di bambini costringendoli a combattere o a diventare schiavi sessuali. Nel 2005 Kony è diventato il primo sospetto a essere accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale (Cpi).

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