El-Arish (Egitto), 24 ott. (LaPresse/AP) – Si è aggravato a 30 soldati uccisi il bilancio delle vittime dell’attentato contro un posto di blocco dell’esercito egiziano nella penisola del Sinai. Il numero delle vittime, riferiscono fonti locali, potrebbe salire perché altre 28 persone sono rimaste ferite e alcune sono in condizioni critiche. Secondo ufficiali egiziani, si è trattato di un attacco coordinato e “ben organizzato”, iniziato con l’esplosione di un’autobomba, forse fatta detonare da un kamikaze. Successivamente militanti hanno sparato contro il posto di blocco con un lanciagranate, colpendo un carro armato pieno di munizioni e scatenando così una seconda deflagrazione. Bombe sul ciglio della strada hanno infine colpito due veicoli dell’esercito, ferendo gravemente un ufficiale di alto rango. Dopo l’attacco, ha riferito la tv di Stato egiziana, sono scoppiati scontri tra soldati e militanti. L’attacco è avvenuto a 15 chilometri dalla città di el-Arish, in una zona nota come Karm el-Qawadees. Elicotteri militari, ha riportato l’agenzia di stampa Mena, hanno trasportato i morti e i feriti in ospedali al Cairo. Il più importante leader religioso in Egitto, il Gran mufti Shawki Allam, ha condannato l’attentato, affermando che chi compie atti terroristici “merita l’ira di Dio sulla terra e alla fine dei giorni”. Per il momento nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attentato, ma ufficiali locali hanno puntato il dito contro Ansar Beit al-Maqdis, un gruppo islamico responsabile della maggior parte dei recenti attacchi contro le forze di sicurezza in Egitto.
Intanto il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi ha presieduto un incontro d’emergenza del Consiglio per la difesa nazionale e ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. In un breve comunicato diffuso dopo la riunione il Consiglio ha annunciato che l’esercito “si vendicherà per lo spargimento del sangue” dei militari. Il governo, ha riferito un funzionario rimasto anonimo, sta valutando la possibilità di sfrattare i residenti di piccoli villaggi nel nord del Sinai, considerati “le basi più pericolose” dei militanti islamici, e di isolare alcune aree, dichiarandole zone militari chiuse.
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