New York (New York, Usa), 23 dic. (LaPresse/AP) – Nel 2014 sono stati uccisi almeno 60 giornalisti in tutto il mondo mentre svolgevano il proprio lavoro o a causa della loro professione, e il 44% di questi è stato preso di mira per essere assassinato. È quanto emerge da una relazione stilata dal Committee to Protect Journalists (Cpj), organizzazione con sede a New York, secondo cui il numero di reporter uccisi nel 2014 è sceso rispetto ai 70 del 2013, ma gli ultimi tre anni sono stati quelli con il maggior numero di vittime dal 1992, anno in cui il Cpj ha cominciato a stilare i conteggi annuali. Il gruppo afferma che ci sono “proporzioni inusualmente alte” di giornalisti stranieri uccisi, pari a circa un quarto, anche se la maggior parte dei reporter minacciati continua a essere costituita da quelli locali.

Tra i reporter uccisi quest’anno ci sono Anja Niedringhaus, fotografa di Associated Press uccisa a colpi d’arma da fuoco mentre seguiva le elezioni in Afghanistan, il videoreporter italiano Simone Camilli rimasto ucciso ad agosto a Gaza, e il fotoreporter italiano Andy Rocchelli morto in Ucraina. Camilli, 35 anni, lavorava per Associated Press dal 2005, ed è morto a Gaza lo scorso 13 agosto nel corso del disinnesco di un ordigno durante il conflitto scoppiato nella Striscia a seguito del lancio dell’offensiva israeliana ‘Margine protettivo’. Con lui è morto anche il traduttore palestinese che lo accompagnava, Ali Shehda Abu Afash, freelance che lavorava anche lui per AP. Oltre a Camilli nel 2014 è morto un altro giornalista italiano, il fotoreporter Andy Rocchelli rimasto ucciso nell’est dell’Ucraina il 24 maggio da un colpo di mortaio caduto vicino Slovyansk. Anche in quel caso Rocchelli era accompagnato da un traduttore, il russo Andrei Mironov, che restò ucciso con lui.

Stando al documento nel conflitto in Siria, nel suo quarto anno, sono morti quest’anno almeno 17 giornalisti, 79 da quando i combattimenti sono cominciati nel 2011. Sono del 2014 due uccisioni particolarmente orrende di giornalisti in Siria: quelle dei freelance statunitensi James Foley e Steven Sotloff avvenute per decapitazione da parte dello Stato islamico (ex Isil o Isis). In Ucraina nel 2014 sono morti in totale cinque giornalisti e due persone che lavoravano nel mondo dei media e si è trattato dei primi omicidi di reporter registrati da Cpj in Ucraina dal 2001. Nel conflitto di quest’estate a Gaza invece in totale sono rimasti uccisi quattro giornalisti e tre persone che lavoravano con i media (fra cui appunto Camilli e il traduttore Abu Afash). Quanto all’Iraq, almeno cinque giornalisti sono rimasti uccisi, tre dei quali mentre coprivano i combattimenti contro l’avanzata dello Stato islamico.

Il report del Committee to Protect Journalists evidenzia inoltre le prime uccisioni di giornalisti in diversi Paesi in cui non avvenivano da tempo: per esempio in Paraguay, dove sono stati registrati i primi tre giornalisti uccisi dal 2007, e in Birmania, dove è stato ucciso un freelance per la prima volta dal 2007. Inoltre è stato registrato il primo omicidio di un giornalista nella Repubblica Centrafricana, teatro di violenze senza precedenti fra cristiani e musulmani.

E anche la copertura del virus Ebola è stata fatale, con i corpi di un giornalista e due lavoratori del settore dei media trovati in un villaggio della Guinea in cui erano andati nell’ambito di una campagna per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica sul tema. Il Cpj, inoltre, sta ancora indagando sulla morte di quest’anno di almeno altri 18 giornalisti. L’organizzazione non inserisce nel conteggio le morti avvenute per malattia o in incidenti aerei, a meno che non siano il risultato di “un’azione ostile”.

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