Torino, 23 aprile (LaPresse) – Il cooperante italiano Giovanni Lo Porto, ucciso in un raid Usa contro al-Qaeda a gennaio in una zona di confine tra Afghanistan e Pakistan secondo quanto ha annunciato oggi la Casa Bianca, era stato rapito il 19 gennaio del 2012 a Multan, nella zona sud del Punjab in Pakistan, insieme al collega tedesco Bernd Muehlenbeck poi liberato.
Originario di Palermo, era project manager presso Welthungerhilfe, una ong tedesca che si occupa di cooperazione internazionale. Secondo alcuni testimoni oculari, il rapimento era avvenuto mentre si trovava nel suo ufficio, in una parte apparentemente sicura della città: allora era emerso che i sequestratori armati avevano fermato i due cooperanti costringendoli a indossare il Salwar Kamiz, un tipico abito pakistano, e poi li avevano portati via.
Lo Porto, 36 anni al momento del rapimento, aveva una lunga esperienza nella cooperazione internazionale. Dal suo curriculum, pubblicato su Linkedin, viene fuori che si era laureato nel 2007 in Psicologia alla Thames Valley University e nel 2010 alla London Metropolitan University, specializzandosi nella gestione dei conflitti. Il cooperante palermitano dal 2002 al 2005 è stato impegnato in Croazia e in Bosnia, per poi lavorare alcuni mesi in Pakistan con la Croce rossa italiana. In seguito, Lo Porto ha seguito progetti in Birmania e in Africa, dove ha collaborato con l’Unicef a un programma di prevenzione della malaria. Aveva poi lavorato per alcune ong italiane: con Coopi in Repubblica Centrafricana e poi con Cesvi dall’ottobre del 2010 a giugno 2011. Quindi è partito per Haiti, dove ha portato aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto.
La sua esperienza con la ong tedesca Welthungerhilfe era iniziata a ottobre del 2011 e da allora aveva lavorato in Pakistan, dove si occupava di un progetto per la ricostruzione e il miglioramento dell’accesso all’acqua potabile.
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