Gerusalemme, 15 mag. (LaPresse/EFE) – Il nuovo governo di Benjamin Netanyahu ha ottenuto la fiducia in Parlamento, seppure con la maggioranza di solo un seggio, e secondo palestinesi e analisti la speranza di pace si allontana. La campagna elettorale di marzo si è fatta notare come la meno concentrata sulla questione della pace con i palestinesi, mentre i successivi accordi per formare una coalizione sono stati i primi in vent’anni a non citare un possibile processo di pace. Netanyahu, formando uno dei governi più di destra della storia del suo Paese, si è infatti concentrato sulla sicurezza e non sulla formula con cui arrivare alla pace nella regione. E’ arrivato a promettere che mentre sarà alla guida del Paese non permetterà la nascita dello Stato palestinese, da molte parti considerata prerequisito per la fine del conflitto.
Durante la sessione di ieri alla Knesset, Netanyahu ha invece assicurato che il nuovo esecutivo punterà alla pace nella regione, scatenando risate e parole di disaccordo dell’opposizione. “Nei tre governi guidati in precedenza da Netanyahu, si è sempre guardato ai partiti cetristi e di sinistra”, ma “il nuovo governo non avrà alcuna foglia di fico di centro o di sinistra, nessun partito che chieda la ripresa dei negoziati e la formazione urgente di uno Stato palestinese”, ha dichiarato il giornalista Raphael Ahren su Times of Israel. La ong israeliana Pace Ora ha messo in guardia: gli accordi della coalizione indicano che le intenzioni del nuovo esecutivo includono un significativo ampliamento degli insediamenti, il silenzio di chi si oppone all’occupazione, il potenziamento della destra, che “considera un chiaro pericolo la possibilità di arrivare a una soluzione a due Stati”. I palestinesi, intanto, hanno detto e ripetuto che considerano praticamente impossibile negoziare con questo nuovo esecutivo. “E’ una coalizione nazionale per l’apartheid e la colonizzazione, in cui la giustizia, la pace e una soluzione a due Stati non sono capiti”, ha affermato Xavier Abu Eid, portavoce dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).
Non è più ottimista il portavoce della presidenza palestinese, Nabil Abu Rudeina: “E’ ovvio che Israele non cerca la pace”, ha detto. Della stessa opinione Hanan Ashrawi, del comitato esecutivo della Olp: la nuova coalizione “promuove una agenda anti-pace, il linguaggio del razzismo, l’estremismo e la violenza”, cosa che “aumenterà l’isolamento e la delegittimazione di Israele”. Anche l’attivista palestinese e fondatore del movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS), Omar Barghouti, ritiene che gli israeliani abbiano “eletto il governo più fanatico della loro storia”, un “cocktail indigeribile di destra, estrema destra e partiti ebraici fondamentalisti” che sono favorevoli “alle politiche colonialiste, senza alcuna dissimulazione”.
Tra gli altri aspetti criticati ci sono l’assegnazione dell’autorità dell’Amministrazione civile, organismo militare che controlla i territori occupati, agli ultranazionalisti di Casa Ebraica e la nomina di Ayelet Shaked, dello stesso partito, al ministero della Giustizia. In questo ruolo, parteciperà alla selezioni dei giudici e dirigerà la commissione parlamentare sulle leggi. I critici puntano il dito anche contro l’aumento del budget per le colonie e la nomina come ministro dell’Agricoltura di Uri Ariel, che in passato in qualità di titolare delle Costruzioni approvò migliaia di nuove case negli insediamenti. Ora avrà la chiave per espandere i terreni coltivati nelle colonie occupate.
Intanto, questa settimana un deputato del partito Likud di Netanyahu, Tzahi Hanegbi, ha affermato: “Non ci sarà mai uno Stato palestinese”, se i palestinesi continueranno a rifiutare di tenere negoziati di pace. Ha sostenuto che abbiano abbandonato il tavolo dei colloqui e che tentino di imporsi attraverso organismi internazionali. L’ultimo giro di colloqui si è concluso senza esito nell’aprile 2014, e da allora i palestinesi hanno fatto passi avanti nell’adesione a decine di trattati e organismi internazionali, cercando riconoscimento globale. Intanto, un gruppo di 19 ex leader europei hanno fatto appello all’Ue perché assuma una “posizione ferma” nei confronti del conflitto in Medioriente, poiché ritengono che il nuovo governo di Netanyahu abbia “scarsa intenzione di lavorare per la pace”.
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