di Chiara Battaglia

Oslo (Norvegia), 8 ott. (LaPresse) – Papa Francesco o Angela Merkel, l’Unhcr o la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini. Ma anche il presidente della Colombia Juan Manuel Santos e il leader delle Farc Timoleon Jimeez o il medico congolese Denis Mukwege. Alla vigilia dell’assegnazione del Nobel per la Pace sono molti i nomi che circolano, ma al momento di certo ci sono solo i numeri: i candidati sono 273, cioè 68 organizzazioni e 205 persone, come ha fatto sapere a marzo il Comitato norvegese per il Nobel. Chi succederà a Malala Yousafzai e Kailash Satyarthi, vincitori dell’anno scorso, si saprà domani 9 ottobre alle 11.

La cancelliera tedesca in pole position nelle quote dei bookmakers inglesi e il suo nome, insieme a quello di papa Francesco per avere favorito il disgelo Cuba-Usa, è fra quelli ripetuti più spesso anche nel ‘totoNobel’ che impazza tra i corridoi e i bar dell’Europarlamento a Strasburgo. “È stata decisiva per la generosa accoglienza dei rifugiati siriani e ora è favorita per la vittoria”, sostiene William Hill, una delle principali agenzie di scommesse britanniche. Merkel è anche in cima alla lista dei cinque possibili vincitori che ogni anno dal 2002 viene pubblicata dal direttore del Peace research institute di Oslo (Prio), un istituto indipendente di ricerca sulla pace. L’attuale direttore, Kristian Berg Harpviken, spiega di averla scelta per la sua “risposta degna di nota alla crisi dei rifugiati di quest’anno” e sottolinea che “ha mostrato una vera leadeship” assumendo “un approccio umano in una situazione difficile”.

In relazione alla crisi dei migranti fra le opzioni sul tavolo ci sarebbero anche il sacerdote eritreo Abba Mussie Zerai, fondatore dell’agenzia Habeshia che si batte per i diritti degli immigrati che arrivano in Italia attraversando il Mediterraneo, la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, e l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr), che ha già vinto il Nobel due volte, nel 1954 e nel 1981. Nel caso dell’Unhcr, fra l’altro, potrebbero esserci dei riflessi italiani: l’attuale presidente della Camera, Laura Boldrini, è stata portavoce dell’Unhcr, mentre il funzionario Onu Filippo Grandi potrebbe presto prenderne la guida.

Ma la breve lista stilata dal direttore del Prio va al di là della prospettiva europea e offre un respiro più ampio. Harpviken individua come altro possibile focus della premiazione quello dei colloqui di pace, ipotizzando la premiazione di Santos e del leader delle Farc Jimenez detto ‘Timochenko’ perché “dopo 50 anni di conflitto armato in Colombia, una pace duratura non è mai stata così vicina”. Nell’ultimo round di colloqui all’Avana Santos ha annunciato che un accordo di pace tra Colombia e Farc dovrebbe essere pronto entro sei mesi. In caso di una premiazione legata a negoziati di successo non si può escludere qualche nome legato all’intesa fra Iran e 5+1 sul nucleare, nel qual caso si potrebbe immaginare secondo Harpviken un Nobel condiviso tra Federica Mogherini e il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javaz Zarif.

Il Prio getta uno sguardo anche alla realtà dell’attivismo in Russia e individua come papabili il giornale Novaya Gazeta (proprio ieri ricorreva il nono anniversario dell’omicidio di Anna Politkovskaja) e il suo direttore Dmitry Muratov, che nel 1993 fu tra i fondatori. “Nessun Nobel per la Pace è mai stato consegnato ai media”, riflette l’istituto di Oslo. Fra gli aspiranti russi risuonano inoltre i nomi dell’avvocatessa cecena Lidia Yusupova e di Pavel Chikov della ong Agora, che hanno dalla loro il fatto di avere ricevuto il premio per i diritti umani della fondazione norvegese Rafto: in passato la birmana Aung San Suu Kyi e l’iraniana Shirin Ebadi ricevettero il Nobel per la Pace dopo essere state premiate dalla Rafto.

Dalla Russia al Giappone: sul tavolo il Prio vede anche l’opzione dell’associazione ‘Articolo 9’, movimento che difende l’articolo 9 della Costituzione giapponese, in cui si afferma che lo Stato “rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo di risoluzione delle dispute internazionali”. Quanto all’ultima opzione individuata dal Prio, ci sarebbero tre congolesi con alle spalle un lungo impegno contro le violenze sessuali: Mama Jeanne, Mama Jeannette e il ginecologo Denis Mukwege. Le prime due, dall’inizio degli anni 2000 cercano sopravvissute a violenze sessuali in tutto il Paese e forniscono assistenza, mentre il terzo ha messo in piedi l’ospedale Panzi a Bakuvu, che offre cure a queste donne. Premiando i tre, afferma Harpviken, il comitato dei Nobel avrebbe l’opportunità di “aumentare la visibilità delle violenze sessuali come problema globale”.

Ma i nomi che risuonano in questi giorni a Oslo non finiscono qui. Ci sono anche la Campagna internazionale per la messa la bando delle armi nucleari (Ican), la ong Iraq body count e Transparency international, come pure gli attivisti sauditi Abu al Khair e Raif Badawi. E qualcuno nomina anche Eric Snowden, ex analista della Cia e talpa del caso Nsa.

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