Ankara (Turchia), 1 nov. (LaPresse) – Trionfo del partito di Recep Tayyp Erdogan nelle elezioni di oggi in Turchia. L’Akp ottiene poco meno del 50% dei voti riprendendosi così la maggioranza assoluta che aveva perso, per la prima volta dal 2002, nel voto dello scorso 7 giugno. Potrà dunque formare un governo monocolore, senza doversi preoccupare di trovare un partner di coalizione, impresa che già non gli era riuscita a giugno, portando il Paese a tornare alle urne oggi per la seconda volta in soli cinque mesi. “Elhamdülillah…”, cioè ‘Grazie a Dio’, ha twittato dopo i primi risultati il premier turco, Ahmet Davutoglu. “Oggi è una vittoria per la nostra democrazia e per il nostro popolo”, ha poi commentato uscendo dalla sua casa di Konya, roccaforte dell’Akp. Intanto nel sudest della Turchia, a Diyarbakir, sono scoppiati scontri: le forze di sicurezza hanno lanciato lacrimogeni contro i manifestanti che protestavano contro i risultati, dal momento che il partito filocurda di sinistra Hdp ha perso consensi rispetto a giugno rischiando di rimanere fuori dal Parlamento.
Stando ai risultati diffusi a conteggio quasi ultimato (95,12% delle schede), l’Akp ottiene la maggioranza assoluta assicurandosi 316 dei 550 seggi. Seconda forza politica è invece il principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp, che si attesta al 25,27%, pari a 133 seggi. Il partito di destra ultranazionalista Mhp ottiene l’11,97% pari a 42 seggi, mentre il partito di sinistra filocurdo Hdp ottiene il 10,34%, pari a 59 seggi, appena sopra la soglia di sbarramento del 10% necessaria a entrare in Parlamento. L’Hdp ha perso molti seggi rispetto alla tornata di giugno, quando era riuscito a entrare per la prima volta nell’emiciclo. La composizione del Parlamento che era risultata dalle elezioni del 7 giugno scorso era stata la seguente: all’Akp 258 seggi (gliene mancavano infatti 18 per ottenere la maggioranza assoluta), al Chp 132 seggi e al partito Mhp e al filocurdo Hdp 90 seggi ciascuno.
Alleati occidentali e investitori speravano che le elezioni di oggi avrebbero aiutato a ripristinare stabilità nel Paese, ma il rischio è che l’esito aggravi la spaccatura interna fra conservatori pro Erdogan e anti Erdogan. Stabilità è una parola chiave: secondo gli alleati occidentali (la Turchia fa parte della Nato e ha presentato richiesta di adesione all’Ue) potrebbe permettere ad Ankara di giocare un ruolo più efficace nella gestione della crisi dei rifugiati e aiutare maggiormente nella battaglia contro lo Stato islamico. “È ovvio quanto importante sia la stabilità nelle elezioni di oggi e oggi i nostri cittadini faranno la loro scelta in base a questo”, aveva detto stamattina Erdogan recandosi a votare nel quartiere Calimca, nella parte asiatica di Istanbul, insieme alla moglie, che indossava un velo color oro.
Dalle elezioni del 7 giugno sono successe molte cose che sono andate in direzione opposta rispetto alla stabilità: il cessate il fuoco con il Pkk è crollato, la situazione legata alla guerra nella vicina Siria è peggiorata e la Turchia è stata colpita da due attacchi terroristici legati all’Isis, cioè quello di Suruc del 20 luglio e quello di Ankara del 10 ottobre che provocò oltre 100 morti. Un terzo attacco aveva già colpito il Paese due giorni prima di quel voto, quando quattro persone rimasero uccise a un comizio dell’Hdp a Diyarbakir. Tutti e tre gli attentati avevano colpito la sinistra filocurda e, soprattutto dopo l’attacco di Ankara, l’opposizione ha puntato il dito contro il governo, accusandolo di avere prestato scarsa attenzione alle reti dello Stato islamico in Turchia nonostante le ripetute denunce dei familiari dei giovani che si radicalizzavano diventando jihadisti. A tutto questo si aggiungono le tensioni legate alla libertà di stampa, con l’opposizione che è tornata ad accusare il governo di avere messo a tacere i media più critici: giovedì è stata bloccata la pubblicazione di due quotidiani anti-Erdogan, Bugün e Millet, per decisione di un tribunale dal momento che appartengono alla holding Koza Ipek, accusata di legami con il religioso Fethullah Gulen, oppositore di Erdogan.